di Stefano Santos
Quando Petro Porošenko, presidente dell’Ucraina eletto il 25 maggio, ha annunciato a fine agosto il rinnovo anticipato di un Parlamento eletto due anni prima (e che avrebbe terminato il proprio mandato nel 2017) la sua intenzione era molto chiara: consolidare l’assetto politico ucraino europeista, egemone in questi ultimi sei mesi in cui si sono susseguiti la caduta definitiva della corrente filo-russa ed euroscettica incarnata dall’esiliato Janukovič, la guerra nel Donbass e l’annessione unilaterale della Crimea alla Russia.
I risultati preliminari delle elezioni, tenutesi ieri, per il rinnovo della Verchovna Rada attestano la riuscita delle intenzioni del presidente: il nuovo assetto politico, che sarà precisato verso metà settimana, è stato già definito come il più “pro-europeista” dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Il blocco del presidente Porošenko, con capolista l’ex pugile e attuale sindaco di Kiev, Vitalij Klyčko (il cui partito UDAR è confluito nel partito del presidente “Solidarietà”), figura al primo posto con il 23%, seguito a poca distanza dal Fronte del Popolo (21%) guidato dall’attuale Primo Ministro Arseni Jacenjuk, fuoriuscito da “Patria” di Julja Tymošenko e fautore di una politica più aggressiva nella conduzione della guerra nel Donbass.
Più lontano dai primi due, il partito di ispirazione cristiana Samopomič (13%), guidato dal sindaco di Lviv (Leopoli), Andrij Sadovyi, e il primo (e finora unico) movimento pro-russo, il Blocco dell’Opposizione (8%), con a capo l’ex vice primo ministro Jurij Bojko, rappresentante delle posizioni del deposto Janukovič (che il 3 ottobre ha ricevuto la cittadinanza russa).
In prossimità della soglia di sbarramento del 5%, si succedono nell’ordine: il Partito Radicale d’ispirazione populista capeggiato da Oleh Ljaško (figura controversa nel mondo politico ucraino) con il 6,5%; la destra estrema di Svoboda (Libertà) al 6%, in caduta libera rispetto al 10% di due anni fa; e infine al 5% “Patria” (sostenitore dell’adesione alla NATO e all’UE e della imposizione di sanzioni economiche contro la Russia) di Julja Tymošenko che segna il definitivo tramonto della sua parabola politica.
Sette partiti politici previsti, con due esclusi eccellenti: il Partito Comunista, fermo al 3%, che per la prima volta dal 1994 non è riuscito a superare la sogna di sbarramento registrando una caduta verticale di consensi (segnalato anche nei mesi scorsi dall’abbattimento di diverse statue di Lenin); e il movimento di estrema destra con connotati nazisti, Pravyi Sektor (Settore Destro), braccio armato del movimento Euromaidan, che non è andato oltre il 2%. Il sistema elettorale è misto, con il 50% dei deputati eletto attraverso liste di partiti e sistema proporzionale e l’altro 50% eletto con il maggioritario e collegi uninominali. Questa previsione influisce dunque nell’allocazione di metà dei 450 posti della Verchovna Rada. L’affluenza è stata bassa, nell’ordine del 52%, con picchi del 70% nell’ovest e minimi del 30% nell’Oblast’ di Donec’k e in generale nel Donbass, intrappolato in una situazione di stallo che dura dall’accordo di cessate il fuoco siglato a Minsk il 5 settembre, violato da entrambe le parti più volte.
Escluse nell’assegnazione dei seggi elettorali le zone in cui è saldo il controllo delle Repubbliche proclamate (la Repubblica Popolare di Donec’k e quella di Luhansk), dove sono programmate delle elezioni (supportate dalla Russia) per eleggere il governo interno. Ma la situazione è restata problematica anche nelle zone in cui la situazione è più incerta, come a Pisky e a Ščastia, dove le truppe del’Esercito Ucraino non hanno trovato seggi elettorali. Altrove, l’affluenza è stata scarsa per la minaccia (non tanto velata) delle forze separatiste, come nella città di Kramatorsk (strappata l’estate scorsa dai separatisti e fatta oggetto di visita dal presidente Porošenko nella mattinata elettorale). Esclusa dal voto, naturalmente, la Crimea, ormai diventata Distretto federale della Crimea comprendente la Repubblica omonima e la città federale di Sebastopoli con trattato di annessione alla Federazione Russa ratificato dalla Duma il 20 marzo 2014.
Un virtuale blocco filo-russo molto consistente, dunque, che non può essere ignorato da Porošenko. Il presidente ucraino può parlare sì di un risultato trionfale per il fronte pro-europeista, ma che non esce più rafforzato, frantumato com’è in una coalizione composta da sei partiti, i cui colloqui per la sua definizione si sono aperti oggi, in attesa dei risultati definitivi, con lo scrutinio completo delle schede previsto per la mattina del 30 Ottobre.