I risultati definitivi e completi erano previsti per la mattinata del 30 Ottobre. Ad oggi, a sette giorni dalle elezioni straordinarie per il rinnovo della Verchovna Rada, l’organo legislativo ucraino, la percentuale di completamento nella metà disciplinata dalle liste elettorali è ancora attestata al 99,92%, cresciuta molto lentamente dal 99,74% del 31 Ottobre. Nella metà allocata attraverso i collegi uninominali al 99,92%. Questa lentezza nello scrutinare i voti non ha riguardato in modo proporzionale ogni collegio elettorale, bensì tre specifici collegi tra i 223 che suddividono l’Ucraina:
- Il collegio 137 nella regione di Odessa, passato dal 88,61% della prima rilevazione del 30 Ottobre, al 99% della seconda rilevazione, fino al completamento del 1° Novembre. Qui ha vinto nel collegio uninominale un indipendente ed ha primeggiato il Blocco del Presidente Porošenko.
- Il collegio 49 nella regione di Donec’k, la più problematica sul fronte del voto, passato dal 75% delle prime rilevazioni, al 98,43% e completamento nelle successive rilevazioni. Ancora a prevalere nel collegio uninominale un indipendente; poco sorprendentemente è il Fronte dell’Opposizione a primeggiare nei voti alle liste elettorali, seguito a poca distanza dal Blocco Porošenko e dal Partito Comunista Ucraino, in un ordine che con poche variazioni ha riguardato l’intero Oblast’ di Donec’k, segno evidente dell’aria che si respira nell’est dell’Ucraina non controllato da Novorossija.
- Infine è il collegio 59, sempre nell’Oblast’ di Donec’k, che pesa nello 0,08% mancante per il completamento degli scrutinii. Dopo un periodo in cui è stato fisso al 74,77%, al 3 novembre esso si è assestato al 76,57%, con 6491 voti conteggiati. La situazione è speculare rispetto al collegio 49, contrapposizione Fronte d’Opposizione/Blocco Petro Porošenko e Partito Comunista al terzo posto distanziato. Perché lo scrutinio possa dirsi completo, mancano all’appello 2123 voti.
Voti che comunque non possono comunque cambiare gli assetti delineati dal 99,92% dei voti. Una situazione che vede il superamento del Fronte del Popolo di Arseniy Jacenjuk (22,14%) – forte nelle regioni occidentali a danni del Blocco di Petro Porošenko (21,82%), che comunque mantiene un consenso trasversale in tutto il paese, anche nell’est, dove nelle regioni attraversate dal Dnepr e dal Donec (Zaporižžja, Dnipropetrovsk, Donec’k e Luhansk) a primeggiare è il Fronte dell’Opposizione. A grande distanza (10,97%) Samopomič (Auto-aiuto) del sindaco di Leopoli Andriy Sadovyi, che vede perdere delle percentuali rispetto alle prime proiezioni e il Fronte dell’Opposizione di Jurij Bojko, che aumenta il proprio peso al 9,42%. Si consolida il Partito Radicale di Oleh Ljaško al 7,44%, mentre rimane stazionario Batkivščina (Patria) di Julja Timošenko al 5,68%. Definitivamente fuori, dopo che si era prospettata un’entrata in parlamento, l’estrema destra di Svoboda (Libertà) – riducendo così il numero dei partiti rappresentati in parlamento a sei. Altri esclusi il Partito Comunista (3,87%), Ucraina Forte di Serhiy Tihipko (3,11%), Posizione Civica di Anatolij Gricenko (3,10), il partito agrario “Zastup” (2,65%) e, infine , il movimento neo-nazista Praviy Sektor (1,80%).
Mentre le neonate repubbliche di Donec’k e Luhansk, confederate nel soggetto politco Novorossija, stanno organizzando le loro prime elezioni (riconosciute dal governo russo, ma non da quello ucraino), l’”arco europeista” si ricompatta, escludendo da un lato le formazioni più estremiste, rafforzando dall’altro il fronte più interventista nella guerra nel Donbass. Una coalizione che ha avuto la sua prima riunione il 31 Ottobre a Kiev.
E’ un’aperta dichiarazione di volontà dei leader delle regioni ucraine del Donbass, resa palese al mondo con i risultati delle elezioni che si sono tenute nelle due repubbliche che formano la Federazione della Nuova Russia (Novorossija). Affermare il proprio controllo su queste regioni, dimostrandone la legittimità con il più forte degli argomenti, il voto popolare, per allontanare le pretese di controllo del governo di Kiev. Roman Ljagin, il capo della commissione incaricata di organizzare le elezioni, ha dichiarato di aver preparato 3,2 milioni di schede elettorali per il voto di Donec’k (oltre a 1,5 milioni per gli elettori di Luhansk), senza che ci siano delle liste elettorali sulla cui base individuare gli elettori legittimati alla partecipazione, che comunque si è attestata oltre 60% in entrambe le repubbliche, avendo come fonte il comitato centrale per le elezioni guidato Ljagin (e da S. Kozjakov a Luhansk).
I votanti totali nella Repubblica Popolare di Donec’k sono stati 1.012.682. La vittoria è stata raggiunta da Aleksandr Zacharčenko, leader dei separatisti filorussi, con 765.340 voti. A seguire Aleksandr Kofman con 111.024 preferenze e Jurij Sivokonenko, 93.280.
Nelle elezioni parlamentari è in testa il partito “Repubblica di Donec’k” di Zacharčenko con 662.725 voti, seguito da “Donbass Libero” (Svobodnyj Donbass) con 306.892 voti.
A Luhansk, secondo il capo della commissione elettorale Sergei Kozjakov, la partecipazione popolare ha superato il 60%, con 630.000 elettori. Qui il movimento “Pace per la regione di Luhansk” ha vinto con il 69,42% dei voti, mentre il 22% è andato alla “Unione Economica di Luhansk”.
Sono state preparate stazioni elettorali per permettere anche ai combattenti del DPR, inclusi i russi e gli stranieri, di esprimere il proprio voto, oltre a prevedere forme di voto online.
La previsione di elezioni locali per le regioni separatiste era già stata disciplinata dalla legge ucraina, approvata dalla Rada il 16 settembre in attuazione del protocollo di Minsk del 5 settembre. Essa dichiarava, fermo restando la sovranità dell’Ucraina sull’area, uno “status speciale”: l’”autonomia” per tre anni delle regioni del Donbass, la fissazione di elezioni locali da tenersi il 7 dicembre, il diritto alle Repubbliche autonome di dotarsi di milizie indipendenti dal controllo di Kiev, il controllo delle corti e dei pubblici ministeri, l’autorizzazione a stabilire relazioni con le vicine regioni della Federazione Russa su materie di interesse locale. Una specificazione, come detto, del Protocollo, stipulato attraverso l’OSCE (nella persona della diplomatica svizzera Heidi Tagliavini), l’Ucraina (l’ex presidente Leonid Kučma), i due leader delle Repubbliche separatiste, Zacharčenko e Plotnickij e l’ambasciatore russo in Ucraina Michail Zurabov. Ed è su questo punto che vengono le puntuali dichiarazioni negative dell’Occidente, che ritiene i separatisti e la Russia (il cui ministro degli esteri Lavrov ha dichiarato di supportare lo sforzo di autodeterminazione delle repubbliche) irrispettosi degli accordi. Prima dalle parole del presidente dell’OSCE Didier Burkhalter, che ha dichiarato che le elezioni vanno “contro la lettera e lo spirito del Protocollo di Minsk” e che complicano ulteriormente la sua già precaria attuazione. “Ostacolo alla pace”, questa l’opinione dell’Unione Europea espressa attraverso il responsabile della diplomazia Federica Mogherini, ex ministro italiano degli Affari Esteri. Bernadette Meehan, portavoce del Consiglio di Sicurezza della Casa Bianca, ha definito il voto “illegittimo” essendo contrario a quanto stabilito dagli accordi di Minsk. Più diretto il presidente ucraino Petro Porošenko, che ha parlato di una “farsa montata da organizzazioni terroristiche sotto la minaccia di carri armati e delle mitragliatrici”.
Condanne, di natura prevalentemente formale – non senza giudizi di merito – che tuttavia non possono cancellare un punto, l’effettivo svolgimento delle elezioni e la sua capacità di guidare gli orientamenti delle persone coinvolte.
Una deviazione importante nel percorso multilaterale di ricerca di una soluzione al conflitto – che aveva avuto il suo appiglio maggiore nel Protocollo di Minsk, pur violato da entrambe la parti a più riprese – ma che esige da parte di tutti un ripensamento delle proprie politiche, per evitare una stagnazione della guerra che avrebbe come esito uno sfacelo umanitario per le popolazioni che vivono quelle regioni.