di Mattia Papa
Paolo Macry, docente di storia contemporanea presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Napoli Federico II, domenica 9 novembre pubblica sul Corriere del Mezzogiorno un articolo sul carattere reazionario degli antagonisti di sinistra, i quali “si oppongono – scrive Macry – alla soluzione del problema dei rifiuti, alla messa a profitto di Bagnoli, alle trivelle. Ovvero a ogni ipotesi di accrescimento della ricchezza locale”. Il professore, interrogato dagli studenti riguardo questo articolo non ha dato risposte, ma ha velocemente contattato il mondo dei grandi media per raccontare la sua versione dell’accaduto mancando però alcuni dettagli della mattinata.
In primo luogo, il tutto è accaduto durante le prime ore del 14 novembre, giornata dello sciopero sociale, al quale anche Macry era stato invitato ad aderire. In pieno accordo con la linea del Rettorato fridericiano, Macry ha declinato l’invito del laboratorio Sciopero In Formazione e ha deciso di proseguire con i suoi impegni didattici sostenendo gli esami.
In secondo luogo, prima di parlare con il professore, gli attivisti (anche loro studenti e dottorandi) hanno spiegato ai ragazzi lì presenti per sostenere l’esame le loro intenzioni durante le due ore di ritardo (non comunicato) del docente, dando il loro consenso e appoggio agli attivisti.
In terzo luogo, nessuna possibilità di risposta è stata data agli studenti all’articolo del Corriere del Mezzogiorno, i quali hanno rilasciato solo ora un comunicato insieme al video (parte 1 e parte 2) che filma l’accaduto. L’assenza di violenza è palese, così come lo è la immediata velocità con cui Macry declina qualunque forma di dialogo con gli studenti, rimandandoli alla settimana successiva. Dal video si evince come il professore di Storia Contemporanea, facendosi scudo degli interessi dei ragazzi che dovevano sostenere l’esame (probabilmente nell’intento di inimicare gli studenti manifestanti e gli studenti in attesa di essere valutati), abbia tergiversato sulla faccenda, difendendosi con il solito richiamo alla libertà di parola e di stampa, ma altrettanto come al solito non rispondendo ad una domanda semplicemente posta in sedi e in tempi non consueti dagli usuali deserti in cui i docenti trasformano le aule accademiche con il loro silenzio sulla realtà della cose (di cui gli stessi docenti sono spesso ignoranti), se non addirittura nell’intento (di qualcuno) di riprodurre il sistema sociale nella sua più alta forma di assopimento intellettuale ai fini della produzione sociale di massa acritica e pronta a far di tutto pur di sopravvivere.
A Macry, immediatamente è arrivato il sostegno e la solidarietà da parte del direttore del Corriere del Mezzogiorno Antonio Polito, del governatore Stefano Caldoro (che inserisce in bilancio regionale €0 per il Diritto allo Studio), dell’ex governatore Antonio Bassolino (tra i più grandi responsabili delle politiche di smaltimento rifiuti che hanno distrutto il territorio campano) e dall’Ordine dei giornalisti della Campania.
Ma insomma, sono più ‘reazionari’ coloro i quali esprimono il loro dissenso poiché mai davvero sono stati ascoltati, ma continuano ad essere bistrattati e compromessi dalle politiche di precarietà e di riapertura delle ‘grandi opere’ che continueranno soltanto a danneggiare il territorio campano, o i docenti sordi e talvolta conniventi con decreti come lo Sblocca Italia (che non fa altro che riprodurre le stesse logiche che hanno contribuito alla devastazione ambientale e sociale del Paese attraverso tecnologie inquinanti – come inceneritori e trivellazioni – che mettono a rischio la salute dei territori e delle comunità per lo smaltimento dei rifiuti e l’approvvigionamento energetico) e i tagli all’Università? È più reazionario Macry che si oppone a chi a sua volta si oppone alla distruzione mascherandola da progresso, oppure chi decide di scendere in piazza contro quelle politiche che rappresentano un’ipoteca per la conversione verso un modello di sviluppo sostenibile e per una gestione democratica dei territori, per una vita migliore?
di Roberto P. Ormanni
Nella primavera del 1976, il cantautore Francesco De Gregori era in tourneé per l’Italia di piombo. La sera del 2 aprile era previsto un suo concerto al Palalido di Milano. Durante l’esibizione, alcuni ragazzi appartenenti ai collettivi politici studenteschi — tra cui Nicoletta Bocca, figlia di Giorgio Bocca — salirono sul palco, interrompendo il concerto, per leggere al pubblico un comunicato contro l’arresto di un militante della sinistra extraparlamentare e per contestare il cantante. De Gregori, secondo gli attivisti, era ritenuto colpevole di praticare uno stile di vita “lussuoso” e di strumentalizzare i temi cari alla sinistra per arricchirsi. Il cantautore romano scelse di concludere l’esibizione ma i contestatori, minacciando ulteriori tumulti, lo spinsero a tornare sul palco per rispondere in pubblico alle loro domande: “Quanto hai preso stasera?”, “Se sei un compagno, non a parole ma a fatti, lascia qui l’incasso”, “Vai a fare l’operaio e suona la sera a casa tua”.
Adopero questo aneddoto un po’ datato come preludio del mio punto di vista sull’affare Macry.
Nella riflessione di Mattia si sottolinea come il professor Paolo Macry, docente federiciano di Storia Contemporanea, non abbia aderito alla giornata dello sciopero sociale del 14 novembre preferendo proseguire i suoi impegni didattici. Una constatazione che potrebbe sottintendere un rimprovero. Eppure, credo che la scelta del prof. Macry sia legittima e rispettabile. Considero solenne il diritto allo sciopero (vade retro, Davide Serra) e santo il diritto di resistenza, ma difendo dall’accusa di accidia la decisione (di un professore e di uno studente come di un operaio) di restare al proprio posto rinunciando alla protesta manifesta.
Spiace constatare, proprio attraverso i video resi pubblici, l’atteggiamento con cui gli studenti hanno avvicinato il professor Macry. Il docente universitario, da quanto si evince dai fatti in presa diretta, declina l’invito a dialogare durante una sessione d’esami rinviando il “il momento di confronto” auspicato dagli studenti ad un momento altro (“Sono disponibile a discutere, ma non oggi”). Da quel momento in poi, i manifestanti abbracciano una condotta capziosa dall’aria provocatoria. Domande insinuante che formalmente non ricercano nessuna risposta precisa: “Ha letto il contenuto del decreto Sblocca Italia?”, “Qualcosa sui movimenti dei rifiuti in Campania la sa?”, “Si è documentato o ha preso solo i soldi per l’articolo?”. La violenza, ahimè, c’è stata. Eccome. Non un’aggressione fisica, certo. Bensì la sottile prepotenza inquisitoria di chi infondo non ammette obiezioni.
Domenica 9 novembre, ho letto sulla prima pagina del Corriere del Mezzogiorno l’editoriale titolato “Ecco chi sono i nuovi reazionari” scritto dal professor Macry. Pur non condividendo l’impianto generale del suo discorso, dissentendo dall’idea di fondo e biasimando la superficialità di analisi di temi fondamentali (trivellazioni, emergenza rifiuti, Bagnoli), neanche per un secondo ho considerato il parere di Macry (espresso in un articolo di fondo, che per sua definizione rappresenta un punto di vista individuale e parziale) meritevole di censura né di processo.
Mi preme sottolineare che “il solito richiamo alla libertà di parola e di stampa” con cui si difende Paolo Macry non è una cantilena stanca e vegliarda, ma un principio vitale, un diritto insopprmibile ed essenziale che si richiama direttamente all’articolo 21 (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”) di un vecchio libro già troppo spesso insudiciato dalle offese. E’ per questo che al professor Macry va, da parte di chi scrive, la piena e incondizionata solidarietà.