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Una guerra lontano da casa. Euromajdan un anno dopo e il Movimento degli Ucraini in Campania

IMGP7565di Stefano Santos

Lo stabilirsi di una comunità ucraina a Napoli segue, come per tutte le altre comunità provenienti da paesi al di là della Porta di Brandeburgo, le vicende della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Una comunità composta per la stragrande maggioranza di donne, tendenzialmente impiegate nei settori del lavoro domestico e assistenza agli anziani, rimasta negli anni discreta e silenziosa.
Ma con gli eventi di Euromajdan, la secessione della Crimea e la guerra nel Donbass c’è stato un turbamento profondo nelle vite degli ucraini; non solo di chi in quelle regioni abita, ma anche chi le ha lasciate per garantire a chi è rimasto a casa una vita più dignitosa.
E’ difficile spiegare cosa significa lasciare la propria terra natale, con un compendio di sentimenti, ricordi, legami affettivi, per andare a vivere in una realtà nella gran parte dei casi avulsa e talvolta ostile. In una dimora che assomiglia più a un semplice mezzo per dormire e mangiare che alla propria casa, da cui si guarda oltre la finestra e si pensa ai genitori, ai figli ancora piccoli di cui non ci si può prendere cura. Mentre si cerca di mantenere un contatto assiduo, attraverso la voce, attraverso l’immagine sfocata di una webcam.
Tutto ciò si amplifica enormemente quando irrompe sulla scena la guerra. L’universalità, la pervasività e la pericolosità enorme di questo fenomeno umano fa sì che ciò appena descritto non diventi più un tormento interiore, quanto piuttosto qualcosa da denunciare, rendere palese al mondo. Soprattutto in un conflitto come quello che si sta svolgendo nell’Ucraina orientale, impantanato dal Protocollo di Minsk del 5 Settembre in una tregua che non è tale – essendo violata a più riprese a colpi di comunicati stampa delle fazioni in lotta. Nel quale le ultime elezioni parlamentari, sia ucraine che nelle repubbliche proclamate, segnano una sanzione di quella che si potrebbe definire una strategia della tensione alla maniera ucraina, con le parti che radicalizzano rispettivamente le proprie condizioni senza che vi sia una risoluzione del conflitto.
Nel frattempo, il tributo di sangue tra la popolazione civile si fa sempre più pesante e chi sopravvive deve fronteggiare una delle più gravi catastrofi umanitarie della storia recente, dove sia le Nazioni Unite che la Russia contano un milione di dispersi in fuga dal Donbass.
Qui fa il proprio ingresso il Movimento degli Ucraini in Campania, impegnato da questa estate in un opera di sensibilizzazione sulla guerra al pubblico, con la costante organizzazione di stand nelle varie piazze napoletane e la partecipazione a cortei e convegni riguardo alla guerra.
L’occasione per chi scrive di entrare in contatto con questa organizzazione risale al 2 Ottobre, durante il corteo che manifestò contro il Governing Council della Banca Centrale Europea alla Reggia di Capodimonte. Un piccolo gruppo di donne e uomini con cartelli che criticavano l’ingerenza europea nella guerra e denunciavano le atrocità della guerra con immagini molto dirette ed esplicite, che riuscì a esprimere le proprie ragioni durante il corteo, ottenendo successo tra i manifestanti. Un successivo incontro nei loro uffici, nella sede dell’USB (Unione Sindacale di Base) riesce a chiarire le posizioni portate avanti dal gruppo.

Il Movimento è antifascista (gravita infatti nel mondo dei collettivi cittadini di sinistra), critica radicalmente il governo ‘fascista’ di Kiev instaurato illegalmente, l’Unione Europea e la Nato per l’aperto sostegno del suddetto governo, sostiene lo sforzo di autodeterminazione delle repubbliche proclamate di Donec’k e Luhansk e giudica negativamente lo sforzo della stampa occidentale di dipingere il presidente Putin come motore principale dei movimenti indipendentisti sia in Crimea che nel Donbass. A questo punto verrebbe da pensare che si tratti di un movimento composto unicamente da persone provenienti dall’Ucraina orientale, rafforzando quella divisione manichea Ovest pro-Majdan/Est pro-Russia che più volte è stata evidenziata. Questa constatazione viene immediatamente smentita dalle rappresentanti. Svitlana, Irina e Katia, tengono subito a precisare che non c’è una connotazione regionalistica nel gruppo, composto trasversalmente da persone da ogni parte della nazione. La divisione, semmai, nel più ampio ambito della comunità ucraina, è di carattere ideologico, su come venga interpretato il conflitto. Una divisione molto spesso conflittuale.

IMGP6912Il movimento è stato spesso accusato di essere stato finanziato dalla Russia per fare propaganda sul conflitto e disgregare ulteriormente una già precaria unità nazionale, pur avendo ribadito più volte di rimanere ancora ucraino come nazionalità, con il sostegno delle Repubbliche Popolari viste come momenti legittimi di rivolta popolare a un governo visto come illegittimo, contaminato da rigurgiti neo-nazisti e instaurato per rispondere agli interessi economici dell’Occidente. Un governo che per loro ha mostrato la sua vera faccia durante le tragiche vicende degli scontri della Casa dei Sindacati di Odessa del 2 Maggio, in cui 39 attivisti pro-russi morirono in seguito all’incendio dell’edificio in cui si erano rifugiati dopo esservi stati spinti dalla pressione degli attivisti pro-Majdan, che avevano bruciato la tendopoli dei pro-russi davanti alla Casa in ritorsione dell’imboscata subita nella tarda mattinata durante un corteo a cui avevano partecipato hooligans e esponenti di Pravyi Sektor. La maggior parte di loro morì per asfissia, mentre altri morirono tentando di sfuggire alle fiamme lanciandosi dalle finestre, morendo nell’impatto o dopo un’ulteriore aggressione da parte dei pro-Majdan che assediavano il palazzo (per ulteriori approfondimenti, si rimanda alla Cronologia n.d.r.).

L’efferatezza dell’episodio ne fa uno dei momenti più tragici della crisi ucraina in generale e fa sì che sia molto sentito a livello emotivo tra la comunità ed il movimento, che il 2 Novembre ha organizzato un minuto di silenzio in occasione dei sei mesi dall’evento, nella sede dell’organizzazione– con la concomitanza delle elezioni parlamentari nel novello Stato Federale di Novorossija. E’ in questa circostanza che viene messa in secondo piano la discussione politica a favore di una dimensione umana che non può essere accantonata nell’analisi di un conflitto.

Alcune donne della comunità, infatti, sono tornate recentemente dall’Ucraina. “Vacanze estive” in regioni a stretto contatto con la lotta condotta strada per strada raccontate da Irina e la signora Marina, entrambe provenienti dall’Oblast’ di Luhansk, con la prima nativa della città vera e propria. Il Luhansk è la regione più orientale del paese, con il suo territorio che quasi si incunea nella Russia: lo stesso capoluogo omonimo dell’Oblast , oggi capitale della Repubblica Popolare (LNR) si trova a poca distanza dal confine russo. Per questa sua vicinanza, nei primi mesi del conflitto sono imperversate lotte per il controllo delle postazioni di frontiera fondamentali per il controllo dei flussi dei ‘volontari’ provenienti dalla Russia. Dopo una prima offensiva delle forze governative verso Agosto, la città vede attualmente l’insediamento del nuovo parlamento eletto.

La bandiera ucraina insanguinata a causa delle politiche dell'occidente.Eloquente è la testimonianza della signora Marina, tornata a casa agli inizi di Luglio: “Tutti quanti mi domandavano perché sto tornando a casa quando stanno succedendo così tanti guai nel nostro paese…perché là c’è la mia famiglia, ero preoccupata. Da quando sono arrivata, ho sentito ogni giorni rumori di bombardamenti, artiglieria pesante”. (secondo le previsioni del Protollo di Minsk del 5 Settembre nella zona cuscinetto di 10 km che separa tra le parti non possono essere utilizzate armi di calibro superiore ai 100 mm, e la signora è rientrata in Italia agli inizi di Settembre). Bombardamenti così frequenti da rendere la signora e la sua famiglia pratici nel riconoscere quando sta arrivando una bomba, quale tipo di bomba, dove scoppiano. “Poi – prosegue la signora – è successo quello che proprio non potevo immaginare. Stavamo a casa, a riposare sul divano – senza la luce, e con l’acqua che a tratti mancava – in una giornata tranquilla. E poi mia figlia ha sentito l’arrivo di un aereo, e ha detto: ‘ci dobbiamo nascondere, subito’. Io non avevo mai visto il bombardamento di un aereo, ma questa volta è successo davanti a me”. L’onda d’urto travolge letteralmente la signora Marina che cade a terra. “Quando è finito il bombardamento, sono uscita assieme alla famiglia per nasconderci in un rifugio sotto il nostro palazzo. Quando sono uscita di casa, ho visto la casa davanti alla mia, e quella dietro bruciare. Siamo rimasti due settimane nascosti senza uscire dal blindato sotto il palazzo, bambini, vecchi e gente che era rimasta in città. Anche gli animali che avevano paura e si nascondevano assieme a noi, senza litigare tra loro anche se erano cani e gatti, capendo che era pericoloso uscire. Siamo rimasti due mesi senza acqua e senza luce – non sapete cosa significa lavare due persone con un secchio d’acqua. Per prendere l’acqua dovevamo aspettare lunghe file nelle case che avevano un pozzo e un generatore per tirare su l’acqua” rimanendo così esposti agli attacchi. “I bambini non riuscivano a dormire la notte, perché non appena ci fosse un rumore sapevano già che dovevano alzarsi, vestirsi per andare alla porta più vicina o in corridoio senza una domanda.” Oltre a questo “tremavano, avevano paura. Avevano paura ogni volta che sentivano il rumore di un aereo o altri rumori temendo che si trattasse di una bomba”. La signora Marina è stata in Ucraina fino a due mesi, fino a Settembre, senza constatare lo sbandierato intervento militare dell’esercito russo, che anzi “ci ha protetto”. Non un intervento armato, quanto una missione umanitaria e di sostegno alle popolazioni rifugiate e scappate dal paese: una tesi sostenuta con forza dal movimento, sebbene questo abbia incontrato nel corso delle manifestazioni una certa resistenza, anche da parte di altri connazionali ucraini.

E’ certo irrealistico sostenere che lo sforzo di autodeterminazione dell’Ucraina orientale non trovi un’adesione maggioritaria tra la popolazione, che il nuovo governo non abbia relazioni né con l’oligarchia ucraina (Petro Porosenko è soprannominato ‘il Re del Cioccolato’ per essere proprietario della miliardaria azienda dolciaria Roshen; la Tymosenko è stata una delle donne più ricche nel paese prima dell’arresto; Rinat Achmetov è l’uomo più ricco del paese) né con movimenti dichiaratamente neo-nazisti (il più volte manifestato supporto per le idee di Stepan Bandera, che comunque si voglia inquadrare la sua posizione è stato collaboratore dei nazisti, un aspetto che non viene ridimensionato da questi movimenti). Come irrealistico è sostenere che il governo non abbia tentato più volte di screditare la lingua russa dal novero delle lingue ufficiali del paese in favore del solo ucraino, o che non abbia commesso atrocità nella sua conduzione della guerra (l’uso di bombe al grappolo e al fosforo sui civili, vietate dalle convenzioni internazionali, denunciato da Human Rights Watch; il poco scrupolo a guerreggiare in zone con forte presenza di civili) o che non abbia rilasciato informazioni tendenziose se non addirittura false (nell’episodio dell’assalto alla centrale di polizia di Mariupol’, giustificato da Avakov come “contro-offensiva a un tentativo di assalto degli insorgenti” e poi emerso come rappresaglia contro i poliziotti che non volevano accettare il nuovo capo mandato da Kiev, riportata dalla stampa internazionale; e la stessa “riconquista” della città il 24 Aprile, smentita da una reporter della BBC), o che esso non abbia una solida base legale (i provvedimenti per l’estromissione di Janukovyc furono adottati senza alcun rispetto di norme procedurali). Eppure, altrettanto irrealistico sarebbe sostenere che il governo russo non c’entri affatto con tutta la vicenda o che le milizie insurrezionaliste – che conta diversi cittadini russi come leader, tra cui Pavel Gubarev, Valerij Bolotov, Igor Girkin/Strelkov e il moscovita Alexander Borodai – non abbiano commesso azioni discutibili durante la loro lotta (il rapimento e assassinio del consigliere municipale Volodymyr Rybak o i rapimenti ‘sistematici’ operati dal sindaco auto-proclamato di Slov’jans’k Vjaceslav Ponomarev) o che tutti i manifestanti di Euromajdan abbiano agito in malafede in nome di un’agenda occulta.

Le responsabilità per ciò che sta accadendo nel paese non è attribuibile a una sola parte, e le ideologie sbandierate sul campo non si possono risolvere con la semplice contrapposizione pro-Majdan/pro-Russia che finora non ha fatto altro che generare contraddizioni e fatto dubitare molti delle proprie posizioni. Un contesto che può essere descritto come un mosaico. In cui il Movimento degli Ucraini in Campania e le sue testimonianze costituiscono un tassello da non trascurare.

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