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La nomina di Juncker, per un’Europa che fatica a cambiare verso

Jean-Claude Juncker

Jean-Claude Juncker

di Emanuele Grillo

Dal 1° Novembre 2014, Jean-Claude Juncker è il nuovo Presidente della Commissione Europea. Prime Minister del Lussemburgo per quasi un ventennio (1995-2013) a capo del PCS/CSV, ha ottenuto la designazione per la candidatura al vertice dell’EC durante l’incontro del Partito Popolare Europeo, tenutosi a Dublino il 7 Marzo del 2014.
Ma è con la direzione all’Eurogruppo (2005-2013) che il politico lussemburghese si è assicurato una certa notorietà, istituzionale e mediatica: primo Presidente permanente del suddetto, ha certamente influito nelle direttive di gestione economica – l’Eurogruppo è infatti il coordinamento che riunisce i Ministri dell’Economia e delle Finanze dell’Eurozona – intraprese ed adottate dal nostro Continente nel bel mezzo di una crisi che, a partire dal 2008, ha scosso le finanze d’Occidente e dell’intero globo. Molte politiche di austerity e di riassetto dei conti, in Paesi come la Grecia ed il Portogallo, sono state condotte sotto il suo beneplacito. La diffidenza disseminata in tutta Europa, l’inflessibilità nella concessione del credito, il conflitto instaurato tra Stati membri e il dissanguamento dei cittadini di alcune aree dell’Unione sono state, nel suo “piccolo”, delle sue scelte.

Dopo il 29,43% che ha trasformato il PPE nel primo partito al Parlamento Europeo per numero di seggi conquistati (221, a discapito dei 191 riservati alla coalizione S&D), l’ex Premier del Lussemburgo non ha dovuto far altro che attendere il suo momento, prima di poter compiere il nuovo salto in avanti nella sua illustre carriera politica.
Eppure nel 2013 Juncker si è dimesso dalla guida del Governo del Granducato per lo “scandalo 007” delle intercettazioni legali compiute dalle forze d’intelligence in gran segreto e che, secondo un’interpellanza parlamentare, vedrebbero lo stesso Juncker a capo di questo sistema, che violava la privacy e minava la sicurezza dei suoi cittadini. Ma non è tutto: tra il 2002 e il 2010, il Lussemburgo avrebbe concesso delle agevolazioni fiscali occulte a parecchie banche ed aziende multinazionali. L’inchiesta prende il nome di LuxLeaks, nata dalla collaborazione tra ottanta giornalisti appartenenti al Consorzio Internazionale del Giornalismo Investigativo (Icij). Apple, Gazprom, Pepsi, Burberry, Ikea, JP Morgan e FedEx, Deutsche Bank ed Amazon sono solo alcune delle grandi società che avrebbero beneficiato dei svariati milioni sottratti alle tasse. Tra queste, poi, vi sono anche 31 imprese italiane e spiccano indubbiamente i nomi di Fiat, Unicredit, Intesa San Paolo e Finmeccanica. L’Icij, poi, promette controlli analoghi in Olanda ed in Irlanda.

Jean-Claude Juncker e Angela Merkel

Jean-Claude Juncker e Angela Merkel

Questa vicenda mette in cattiva luce le politiche di regime fiscale adoperate in Europa, specialmente in Lussemburgo negli ultimi decenni: paradiso fiscale ormai conclamato, sembrerebbe non essersi risparmiato alcun escamotage per accrescere la sua appetibilità nei riguardi di molte tra le più floridi aziende del globo. Questa vicenda, ancora, incrina ulteriormente la figura del neo Presidente della Commissione, che per una serie “sfortunata” di eventi, si trova sempre nella poltrona sbagliata al momento sbagliato.

Come ha reagito l’Italia di fronte a tale nomina? Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha più volte tuonato parole di distacco dal precedente Barroso, il quale avrebbe rappresentato una parte del rigore e dell’inflessibilità che stanno mettendo a dura prova gli Stati membri. E stando alle parole dell’ex Sindaco di Firenze, la nomina di Juncker sarebbe stata “un errore“. Eppure, un dettaglio non quadra: i voti disponibili a Renzi (quindi al PD) al Parlamento Europeo hanno seguito la via indicata dalla Cancelliera Angela Merkel, favorevole all’elezione dell’ex leader dell’Eurogruppo. Nel semestre europeo dell’Italia che è appena iniziato, si sarebbe potuto dire o fare diversamente, che accontentarsi di votare Juncker “solo per un accordo politico”. E quali sono i punti rientranti in tale accordo? Un Nazareno top secret 2.0?
Il rottamatore sembra fare la pace piuttosto facilmente coi cattivi burberi: li vota in Europa, ma al contempo non sdegna in patria di pavoneggiarsi contro le rigidità e gli insegnamenti che l’Unione vorrebbe imporci.
L’Europa e l’Italia stanno cambiando veramente verso? Juncker è davvero la persona più adatta ad assumere un ruolo così cruciale, in un momento di fragilità economica e identitaria come questo? E l’Unione non favorirà (ancora una volta) la linea dettata dalla Germania?