Mi odierei da solo, se fossi il padrone di casa. Provo un senso di repulsione al pensiero che qualcuno, non importa di quale estrazione sociale, si intrufoli in casa mia per prendere le mie cose che faticosamente ho comprato con i miei soldi. E’ una cosa che proprio non sopporto, che tira fuori i miei peggiori istinti bestiali. Mi ricordo della volta in cui avrei voluto gettare in mezzo alla tromba delle scale del mio condominio il tizio che stava cercando di scassinare il portone di casa. Era notte fonda, stavo rincasando dopo aver passato la serata in compagnia della mia ragazza d’allora. Mentre stavo salendo i gradini, sentii i tipici clic che indicavano una forzatura in corso. Mi arrestai di colpo e cominciai ad alleggerire il passo, in modo che il tipo non mi sentisse. Ero aiutato dalla semioscurità di quell’ora, in pochi secondi lo raggiunsi e lo vidi che voleva entrare in casa mia. Quel balordo non aveva neanche la premura di girarsi per vedere se era osservato: con un rapido gesto lo immobilizzai da dietro, con una mano sulla bocca affinché non berciasse dallo spavento. Tutto si svolse nel silenzio più assoluto. Una ginocchiata sul sedere, abbastanza dolorosa affinché non reagisse. Ero furente, digrignavo i denti. Credo che il mio ringhiare, da lui sentito proprio a due centimetri dall’orecchio, lo avesse terrorizzato. Ci dirigemmo verso la ringhiera; il fatto che non ci fosse l’ascensore mi fece ipotizzare un lancio dritto giù al pianterreno. Gli presi i capelli e lo feci sporgere al di fuori: sentì sul palmo la vibrazione potente provocata dal suo urlo soffocato. Mentre mi apprestavo a realizzare il mio piano, la mia vicina settantenne aprì, svegliata dal rumore dello scassinamento e visibilmente preoccupata. Fu lei a salvarlo dallo spappolamento al pianterreno; se la cavò con uno spavento e un po’ di mesi in cella. Con il senno di poi penso che sia stata una reazione fin troppo esagerata: una rapida telefonata ai Carabinieri e tutto si sarebbe risolto. Però è ancora un episodio utile a far capire il mio odio verso i ladri al mio interlocutore. A questo punto, però, al termine di questa narrazione, mi posso aspettare due reazioni completamente differenti: chi non mi conosce avrà dei tentennamenti per i contenuti violenti della trama, ma in generale sarà concorde con me sul pericolo rappresentato dai ladri; al contrario, chi mi conosce bene, come ad esempio un intimo o un semplice amico, non esiterà a alzare gli occhi e a dirmi ‘sei sempre il solito’. Ancora mi ricordo le parole che mi disse il mio caro amico Beppe, che il diavolo se lo porti, quando gli raccontai questo aneddoto: “Allora ti odi da solo? Ah ah! Sembra che tu sia uno di quelli che fanno le cazzate, e allo stesso tempo non ti piacciono le persone che fanno le tue stesse cazzate; hai la stessa morale del pluriomicida condannato alla forca: non hai avuto pietà nell’uccidere ma ti aspetti che i boia abbiano pietà di te. La legge è uguale per tutti, ma mai per se stessi, mi sembra di capire”. Risi di gusto in quel momento, perché ci aveva preso in pieno. Ogni volta che ci penso tento di cambiare, ma è tanto semplice seguire questa filosofia. L’uomo è l’unica creatura che per progredire, deve reprimere i propri istinti. Allora, mi dico sempre ‘non sei certo l’anello mancante, quindi smettila di tentare sennò fai più guai che benefici’, lasciando così agli spiriti puri il compito di migliorare la società; io intanto mi occupo di svaligiare le case altrui.
Sono nella villa di questo sofista delle banche, tale Martini, già da qualche ora. Ho deciso di stare un po’ più a lungo, magari fino a domani mattina, il tempo di rilassarmi in questa bellissima dimora, perché è un vero peccato che venga sprecata, dato che i suoi occupanti sono troppo impegnati in inverno per il lavoro e in estate sono oberati dalle … vacanze. E’ da un po’ di tempo che li spio nei movimenti, e quando sono partiti per chissà quale destinazione ho capito che potevo fare con calma. La zona è isolata e il codice dell’antifurto è 1953, l’anno di nascita del dottore, troppo facile. La macchina è già pronta sul vialetto in caso di una rapida fuga, ripiena di tanta bella argenteria, bigiotteria e elettronica.
Intanto, sono disteso sulla poltrona del dottore, quella simile, per intenderci, a quella che si vede negli studi degli psicologi, nell’oscurità mitigata dalla luna piena; mai accendere luci in case i cui proprietari sono fuori casa per un lungo periodo: un vicino pettegolo e potenzialmente voyeur potrebbe insospettirsi. Ho appena stappato una bottiglia di rosso, scelta a caso tra quelle disponibili nella cantina del professore e l’ho versata nel calice che ho trovato nella lavastoviglie. Ne bevo un sorso: che orrore! Non serve certamente un palato fino per accorgersi che questo è un vino scadente, ed è pure etichettato come un merlot. E’ alcol annacquato con del colorante rosso quel tanto che basta per farlo apparire normale alla vista di un gonzo. Se il padrone mi vedesse mi direbbe che sono un ignorante e uno zotico che non capisce nulla di vino; sarà pure vero, ma questo vino è peggiore di quello servito nelle squallide taverne che ho avuto occasione di frequentare. Gli raccomanderei allora di restituire l’intera cassa di bottiglie al commerciante o al viticoltore che gliel’ha propinato. Le bottiglie dovranno essere vuote, così da far il più male possibile se vengono spaccate in testa. E’ questo il trattamento da riservare agli imbroglioni, sebbene io non ne abbia mai beccato uno; è che ho sentito dai miei conviviali molte brutte storie su di loro e nel frattempo ho elaborato mie personalissime teorie.
Io non ho problemi con le altre genti, ma suppongo che loro ne abbiano molti con me, dato che in televisione ho sentito molte filippiche contro la mia categoria: “Che bruti!”, “Ci rovineranno tutti”, “Sono la principale causa dell’impoverimento del nostro quartiere”, “Io e mia moglie non riusciamo più a dormire sapendo che ci sono questi delinquenti”, “Si stava meglio quando si stava peggio”, “Non c’è più morale”, “Qui una volta era tutta campagna” e il sempreverde “Non ci sono più le mezze stagioni”. Ogni volta che le ascolto sembra sempre che mi stiano attaccando, mi offendo e comincio a sbraitare. Non mi sento però, in verità e a freddo, di biasimarli: è pur sempre il frutto del loro lavoro, quello che viene preso. Dal mio punto di vista, non credo che io faccia così tanti danni. Nell’analizzare la mia metodologia, si scordi la platealità che viene mostrata nei film d’azione americani o nei giornali, quella del tritolo e dei metodi informatici. Né si prenda in considerazione la violenza con cui certi miei colleghi intimano i malcapitati a dare i loro averi, con un coltello o un fucile alla mano, non sono così stupido da farmi vedere così, anche perché vedendomi non si potrebbe avere alcuna paura: ho il viso da ‘non schiaccio neanche le mosche’, non sarei credibile. Prima di tutto, agisco sempre da solo; i ladri sono le ultime persone di cui fidarsi. Collabori e poi all’ultimo momento pensano di infinocchiarti, facendo fallire il colpo e facendoci arrestare. No, no, devo sempre essere solo, del fatto che io stia architettando un colpo lo deve sapere il numero minore di persone possibile. Poi, come ho già detto, non mi piace sfondare le cose, né essere teatrale: mi piace andare per vie traverse. Il gusto di passare inosservati, ecco, essere invisibili. Non c’è cosa più bella che sentirsi padrone della situazione, della consapevolezza dell’unilateralità del rapporto che intercorre tra me e il derubato. Io posso vederlo ma lui non può vedere me, non come un cieco, ma come uno totalmente ignaro della mia esistenza. Talvolta, lo confesso, mi si è creata una sorta di senso di onnipotenza: lo potevo uccidere senza che lui se ne accorgesse. Chi mi stesse ascoltando in questo momento non venga preso da sentimenti moralistici, piuttosto venga da me e mi chieda di farglielo provare: non rimarrà insoddisfatto, ci sarà solo un problema a contattarmi.
Infine, non sono quello che con il saccone da Babbo Natale prende ogni cosa che gli capita a tiro, magari facendo rompere qualche vaso o qualche piatto, infatti i miei salassi sono indolori, sono cioè condotti in modo da non fare strappare i capelli, né sospettare che ci sia la mano di un ladro. Nella quasi totalità di casi, si penserà che sia stato il garzoncello o la sguattera. Come quella volta in cui mi intrufolai nella salumeria di Franco, che stava difronte al mio palazzo. Nei giorni precedenti, avevo preso dalla sua tasca il mazzo di chiavi che apriva ogni cosa che fosse di sua proprietà e ne avevo fatto una copia. Mentre facevo la spesa da lui avevo fatto in modo che le trovasse per caso e incolpasse il ragazzo che lavorava da lui, Antonio. La notte stessa, con le chiavi che avevo duplicato, entrai attraverso la saracinesca e con una borsa in spalla presi: una parte dell’incasso, una piccola forma di parmigiano, un prosciutto, olio extravergine e delle bibite gassate. In sostanza feci la spesa mensile, retribuita. La cosa divertente era che a prima vista sembrava tutto normale e solo l’uomo che conosceva a fondo l’inventario e le cibarie esposte poteva vedere che qualcuno aveva preso delle cose. Dimenticavo, oltre a le chiavi, avevo preso in prestito anche il berretto del ragazzo.
Mi svegliai presto, prima dell’ora in cui c’era l’apertura, perché non mi volevo perdere lo spettacolo. Entrai facendo finta di nulla, con il fare di uno che ha molto tempo da spendere. Franco sembrava di buon’umore, mentre si apprestava a andare dietro il banco per servire i clienti. Avevo proprio voglia di un grosso panino con tanto prosciutto e parmigiano, innaffiato ben bene di aranciata e non esitai quindi a chiedere queste cose. Con il sorriso in volto, si adoperò per soddisfare la mia richiesta. Prendere il pane fu semplice, non era nella mia lista di ieri. Lo tagliò a metà e lo posò aperto sul tagliere, per posare meglio le fette di crudo e le scaglie di parmigiano. Con un gesto meccanico, tastò nell’area del bancone dedicata ai salumi, in particolare tra la mortadella e il tacchino, dove sapeva esserci un coscione di maiale pronto per essere affettato, ma con mio sommo dispiacere non lo trovò. Il sorriso si adombrò e divenne paonazzo. Sembrava pensare “Oh, sembra proprio che non ci sia. Calmiamoci, passiamo al parmigiano: il cliente non deve sapere che manca”. Mi rivolse un sguardo cordiale, che ricambiai. Di nuovo l’abitudine lo guidò, tastando questa volta tra lo stracchino e la ricotta. I cinque polpastrelli sentirono per sei volte il freddo del bancone. I signori paffuti come lui passano rapidamente dal rossore al sudore. Un rivolo sgorgò dalla tempia calva. “Prendi un respiro, e vai a prendere la bibita per il signore” si raccomandò. Mi rivolse un secondo sguardo di “abbia pazienza”. Questa volta frugò tra le buste di latte e la panna spray. Dopo tre artigliate a vuoto, prese finalmente qualcosa. Ma non era plastica, né un qualche altro materiale per contenere liquidi. Era stoffa, di un cappellaccio unto. Fissò il copricapo a lungo, istupidito; ma quando capì il proprietario si illuminò: andò alla cassa e scoprì che metà incasso era andato, svanito. Allora prese un’immediata risoluzione; afferrò la mannaia sul banco e si diresse velocissimo nel retrobottega.
A questo punto non mi è chiaro come si svolsero i fatti, dato che tutto accadde così velocemente. Udì grida rabbiose e lamenti acuti, poi entrambi schizzarono via gran velocità e si rincorsero per strada. Ma guarda un po’ se è questo il modo di trattare i clienti! Me ne andai offeso, senza prima aver preso un paio di banconote blu, che putacaso mi servivano quel giorno. Questo tipo di situazioni si ripetettero più e più volte, in seguito.
A pensarci meglio, è con questo metodo che mi sono sostentato in tutti questi anni; il furtarello bisettimanale in un alimentare a caso, associato al colpo mensile in un negozio di elettronica, per aggiornamenti e quant’altro. Quando il mobilio si rompe, mi rivolgo agli svedesi. Per i suppellettili, ci sono così tanti mercatini pieni di roba interessante. Quelli, insieme ai libri e al vestiario, sono le uniche cose che compro regolarmente. Non si può scegliere una lampada al buio, così come non si può leggere una quarta di copertina senza il rischio rovinarsi la vista. Sono le poche cose che mi piace fare alla luce del sole, insieme al lavoro di facciata. Sono il tuttofare in una libreria, gestita da un mio caro amico dal passato tempestoso, ormai ritiratosi a vita privata. Io gli do i soldi che riesco a prendere, lui per magia me li restituisce in forma di ‘stipendio’ al sicuro da beghe fiscali, in cambio gli tengo in ordine i libri e gli do parte del mio bottino. Mai un problema.
E’ una vita tranquilla questa, senza affanni indesiderati ma solo cercati, giusto per movimentare le cose. E’ capitato che mi scoprissero, ma alla fine tutto si è sempre risolto con una denuncia a carico di ignoti. Non mi faccio mai mancare nulla, perciò mi posso tranquillamente definire un uomo fortunato.