Nei giorni scorsi è arrivato nelle sale “La teoria del tutto”. Il film, diretto da James Marsh e basato in particolar modo sulle memorie “Travelling to Infinity: My Life with Stephen” di Jane Hawking, ripercorre la vita dell’astrofisico, matematico e cosmologo britannico Stephen Hawking. Chiunque ne ha sentito parlare almeno una volta, ma non tutti conoscono compiutamente il suo percorso scientifico e la sua vicenda umana. Stephen William Hawking nasce l’8 gennaio 1942, a Oxford, e si laurea in fisica a vent’anni. È appassionato di cosmologia, che definisce “la religione per atei intelligenti”, crede profondamente nelle verità dimostrabili in tal senso, ed è mosso da ambizioni sconfinate: spiegare il mondo, analizzare le forze motrici dell’universo, formulare una teoria sulla sua origine. L’aggettivo geniale è forse quello che più si avvicina a descrivere una mente come la sua. Numerosi contenuti scientifici hanno addirittura preso il suo nome, dalla radiazione di Hawking allo stato di Hartle-Hawking, teoria cosmologica sull’inizio senza confini dell’universo; si è occupato della termodinamica dei buchi neri, dell’ipotesi del “multiverso”, dell’inflazione cosmica, della gravità quantistica, ha elaborato numerosi modelli matematici, ed è riuscito a fornire sempre argomentazioni semplici e chiare, pubblicando testi di divulgazione scientifica anche per i non addetti ai lavori. Un uomo di scienza unico nel suo genere, tanto più se ci si concentra sulle peculiarità della sua esistenza. Nel 1963, a seguito di accertamenti dovuti alle improvvise ma crescenti incapacità ad usare le mani, gli viene diagnosticata una malattia degenerativa dei motoneuroni che compromette il controllo della contrazione muscolare. Si pensa alla SLA e i medici gli danno solo due anni di vita ma la malattia, che ha invece un decorso e una progressione molto lunghi e lenti, si rivela essere invece l’atrofia muscolare progressiva. Nel giro di vent’anni Hawking perde completamente qualsiasi tipo di movimento. Malgrado ciò, incredibile a dirsi, egli prosegue i suoi studi e la sua vita va avanti: nel 1976 ottiene la cattedra lucasiana di matematica a Cambridge e, nonostante la situazione fisica si aggravi a causa di una seria polmonite che richiede una tracheotomia con perdita permanente della funzione vocale, nel 1988 pubblica “Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo”, considerato il suo capolavoro (più di dieci milioni di copie vendute in tutto il mondo), e intanto sposa Jane Wilde e diventa anche padre. Anche per quanto riguarda la dimensione umana, dunque, Hawking riesce a fornire insegnamenti rari. È descritto, da chiunque abbia avuto contatti con lui, come un inguaribile ottimista, un simbolo di speranza, la cui esperienza non può che essere incoraggiante e assolutamente ispiratrice, e del resto praticamente per l’intero arco della sua vita Stephen Hawking è stato in grado, al di la di suoi mirabolanti studi, di sprigionare emozioni con impercettibili battiti di palpebra o minime rotazioni oculari, arrivando a rendere il suo nome indelebile nell’Olimpo delle scienze e non solo.
Home » Cinema, News » Il genio e la malattia: la storia dietro l’emblema di Stephen Hawking (adesso anche al cinema)