Uno spettro si aggira per l’Europa ed è lo spettro del jihadismo.
Sono passati pochi giorni dalla strage di Parigi e il terrore innescato dal fondamentalismo islamico sta facendo preoccupare l’Europa (e non solo). Il mondo occidentale, però, non è nuovo a questo fenomeno.
In seguito all’attentato dell’11 settembre 2001, i governi si videro costretti a implementare le misure di sicurezza e a trovare nuovi modi di fronteggiare la minaccia. Tuttavia, ciò non impedì ad altri attentatori di provocare ulteriori stragi, come quella di Madrid nel 2004 e quella di Londra nel 2005. Complessivamente il quadro non è mutato, ma da allora sono comparsi nuovi attori, come il Califfato Islamico di Al-Baghdadi e il fronte Al-Nusra, mentre altri sono passati in secondo piano, come Al-Qaeda e i suoi leader.
A inquietare gli animi dei cittadini europei è soprattutto la presenza sul territorio di individui ostili riuniti in cellule, capaci di colpire da un momento all’altro agendo nell’ombra. La cosiddetta “strategia dei mille tagli”, la cui efficienza è stata provata dai fratelli Kouachi a Parigi, potrebbe dare ancora filo da torcere alle forze di polizia europe, che spesso hanno bisogno dell’assistenza degli eserciti nazionali per fronteggiare le minacce. In Belgio, dove il 15 gennaio è stato sventato un attacco terroristico e sono stati uccisi due jihadisti, il governo ha attivato un “pacchetto sicurezza” che prevede il dispiegamento di 300 militari collocati nei punti più sensibili del paese (principalmente ambasciate e sinagoghe ebraiche). In Italia, al confine con la Francia, sono stati arrestati due jihadisti provenienti dal Belgio, scappati in seguito al blitz; il ministro degli affari esteri Paolo Gentiloni ha annunciato che il livello di allarme terrorismo è impostato a sette su dieci. Nei giorni scorsi la Questura di Roma ha raccomandato agli organi di stampa di rafforzare le misure di sicurezza attraverso la predisposizione di ingressi blindati, metal detector e sistemi di sorveglianza. Intanto in Francia i dodici fermi compiuti durante l’inchiesta su Amedy Coulibaly sono stati prorogati perché i sospettati sono stati accusati di aver assicurato “sostegno logistico” all’attentatore e a Berlino circa duecento agenti hanno partecipato ad un operazione anti-terrorismo che ha portato a due arresti.
La minaccia integralista giunge soprattutto dai cosiddetti “foreign fighters”, cittadini europei, in gran parte immigrati di prima e seconda generazione, che hanno scelto di combattere gli infedeli in nome di Allah. “Sono ormai più di tremila gli europei che si sono uniti ai jihadisti dell’Isis in Iraq e Siria”, ha detto Guilles De Kerchove, il coordinatore europeo contro il terrorismo. Provengono principalmente da Francia, Belgio, Norvegia, Paesi Bassi, Finlandia e Gran Bretagna, paesi in cui la percentuale di abitanti di fede musulmana è maggiore rispetto ad altri stati. Il fenomeno è in forte crescita e Internet riveste un ruolo fondamentale nell’indottrinamento delle nuove reclute: basti pensare ai video pubblicati periodicamente dal califfato islamico, dal chiaro intento propagandistico, e dai numerosi siti in cui i fondamentalisti possono scambiare informazioni. Molti individui sono giovani delle periferie europee che vedono nel jihad una ragione di vita e per la quale sacrificarsi. Spesso spinti soprattutto dall’antioccidentalismo, più rari ma comunque presenti, i giovani di origine europea che mai avevano avuto alcun legame con il Medio Oriente o la religione islamica che scelgono di partire per la Siria o per l’Iraq e combattere per diversi gruppi: è il caso di Giuliano Delnevo, ventiquattrenne genovese convertitosi all’islam e ucciso ad Aleppo nel 2013 per combattere contro Bashar al-Assad, il dittatore siriano, o di Marc, lo studente di Marsiglia unitosi al fronte al-Nusra e morto a Raqqa all’inizio del 2014. Il fondamentalismo, però, non attira solo europei. Douglas McArthur McCain era un “ordinario ragazzo americano”, a venti anni ha scelto di convertirsi all’islam e di unirsi all’ISIS, ma ha presto trovato la morte.