Home » Esteri, News, Politica » Wikileaks e le verità sulla guerra in Iraq

Wikileaks e le verità sulla guerra in Iraq

di Ilaria Giugni

Circa due settimane fa, Wikileaks, sito web fondato nel 2006 che si occupa di mettere in rete documenti coperti dal segreto, pubblicava 600.000 documenti redatti quotidianamente dai militari americani in Iraq. Si tratta di resoconti giornalieri degli scontri avvenuti in un lasso di tempo che va dal 2004 al 2009.
La lettura dei rapporti rivelati dal sito web è certamente controversa. Molti, infatti, riguardano “incidenti” nei quali hanno perso la vita civili iracheni per mano dei soldati americani. Talvolta, fra l’altro, la verità appare volutamente manomessa dai marines al fine di evitare sanzioni disciplinari. E’ il caso della strage avvenuta nel marzo 2006 vicino Mahmudiynah: viene messo a rapporto il ritrovamento di quattro cadaveri in un’abitazione, riferendo che si tratterebbe di vittime delle “forze anti-irachene”, formula utilizzata dall’esercito degli U.S.A per indicare i propri nemici. Eppure, a seguito dell’apertura di un’inchiesta, il resoconto dei soldati è risultato non rispondente alla realtà. Tutt’altra la verità che si è rivelata. Quattro marines della 101a divisione aviotrasportata, notata una ragazzina irachena di 14 anni, hanno fatto irruzione nella sua casa, rinchiuso i suoi familiari in una stanza, abusando di lei a turno. La vergognosa spedizione si è poi conclusa con l’uccisione dell’intera famigliola.
I colpevoli sono stati condannati dal tribunale americano a pene che vanno dall’ergastolo a 90 anni di carcere.
Questo purtroppo, però, non è l’unico episodio ignominioso raccontato nei documenti pubblicati da Wikileaks.
Incancellabile è il massacro di Haditha, nel quale persero la vita 24 civili, fra i quali 10 fra donne e bambini. Il 19 novembre 2005, in seguito alla morte dell’autista di un veicolo americano per l’esplosione di una bomba, i marines rimasti vivi cominciarono dapprima a sparare all’impazzata e successivamente, addentratisi nel villaggio, uccisero chiunque gli capitasse a tiro.
Eppure i soldati americani riferiscono di rispettare con grande accortezza le procedure, soprattutto quelle relative all’”escalation della forza”. Queste prevedono ad esempio l’emissione di segnali di avviso prima di esplodere colpi. Tuttavia, sono moltissimi i casi di feriti che attestano di non aver sentito alcun segnale d’avviso.
Il 28 febbraio 2008, un commando aereo del’esercito statunitense spara su un gruppo di civili intenti a scavare, nella convinzione che stiano piazzando un ordigno. Nel rapporto di quella giornata si legge però che è stato un tragico “incidente”: i presunti terroristi erano in realtà bambini che cercavano radici per appiccare il fuoco. In quel fatale episodio muore un ragazzino di 13 anni.
Wikileaks ci lascia infine dati allarmanti: nei rapporti riguardanti l’escalation della forza, si calcolano 681 civili morti per mano dell’esercito, 103 delle forze aeree.
Alla luce di questi dati, vale forse la pena chiedersi dove sia finito il proposito americano di esportare la democrazia e la libertà in Iraq, o se ci sia addirittura mai stata una volontà in tal senso. Quello che è certo è che quel lago di sangue non può, e non potrà mai essere definito, libertà.