La serata di apertura del 65esimo Festival di Sanremo sarà probabilmente ricordata come la più brutta. Sono solo tre le cose che probabilmente andrebbero salvate in una prima davvero dimenticabile: la velocità della conduzione di Carlo Conti, gli ospiti e la sorpresa nell’accoppiata Grazia Di Michele-Mauro Coruzzi (alias Platinette). Ma andiamo con ordine.
L’idea di affidare conduzione e direzione artistica di questa edizione 2015 sanremese a Carlo Conti poteva, sulla carta, essere giusta. Nella speranza, però, che lui non tentasse di replicare la formula dei suoi programmi di successo “Tale e quale show” e “Si può fare”. Perchè il format di questi spettacoli era troppo semplice e semplicistico per adattarlo al macchinone di Sanremo. Ma Conti non si smentisce mai e, nel tentativo di affidarsi ad un usato sicuro, fin dall’anteprima ha proposto una noiosa accozzaglia di semi-dichiarazioni dei cantanti in gara e di spezzoni del Red Carpet, con lo stesso stile degli rvm che mostrano i concorrenti affrontare le prove nei suoi talent. Passata questa mezz’ora interminabile finalmente si accendono le luci sul palco: anch’esso sembra richiamare nello stile quello di “Tale e Quale”. Poco importa, Conti dimostra subito infatti di non voler perdere tempo e annuncia (dopo un breve riepilogo del regolamento) il primo cantante in gara. La sua scioltezza e velocità sono un toccasana dopo le due edizioni precedenti, dominate dalla lentezza consueta di Fabio Fazio.
Peccato che fin dall’esibizione di Chiara (con il brano “Straordinario”) si presagisce il peggio: canzone appena orecchiabile, testo banalissimo sull’amore e voce sempre in bilico tra il gracchiante e lo sfonda-timpani. E non si tratta nemmeno del brano peggiore. Tutti (o quasi) i cantanti in gara hanno sorpreso in senso negativo: Alex Britti con “Un attimo importante” ha consegnato alla storia il brano più brutto tra quelli da lui presentati a Sanremo, carino ma nulla più; Gianluca Grignani ha semplicemente dimostrato come cerca di rialzarsi un artista ormai finito con “Sogni infranti”; “Una finestra tra le stelle” di Annalisa sembra la copia carbone del brano portato da Chiara, con gli stessi pregi e gli stessi difetti figli della gavetta da talent; Nek non si è smentito con “Fatti avanti amore”, una canzone in pieno stile anni ’90 arrivata fuori tempo massimo; Lara Fabian ha giocato con la “Voce”, unico pregio del suo pezzo, che sembrava essere uscito di peso da un classico Disney; Malika Ayane con “Adesso e qui” non si è discostata dai suoi classici pezzi sanremesi; e infine i peggiori del lotto, i Dear Jack e Nesli, che con la loro voglia di essere giovani e di cantare per essi, hanno fatto capire quanto in basso si possa scendere con una canzone di appena tre minuti.
Vera sorpresa tra questi primi 10 Campioni è stata la coppia Grazia Di Michele-Mauro Coruzzi che, con il brano “Io sono una finestra”, hanno saputo coniugare una melodia piacevole e suadente con un testo discretamente coraggioso e intelligente. Inoltre la splendida voce calda della Di Michele si sposava molto bene con l’insospettabile tono intimistico di Coruzzi (qui fuori dalle sue solite vesti di Platinette).
Consegnati, quindi, all’albo d’oro anche i peggiori testi mai scelti si è capito quanto Carlo Conti fosse adatto per condurre un Sanremo, ma pessimo come direttore artistico. Alle canzoni scialbe e inascoltabili (mai davvero nella storia era capitato che una sola canzone potesse essere ricordata dopo la prima sera) si è aggiunta l’inspiegabile scelta delle vallette: Rocio Munoz Morales classica bellona straniera incapace di parlare italiano, Emma Marrone che pur se vestita da principessa parla come Er Monnezza, e Arisa che si autodefinisce in entrata – e giustamente – Pippa e fatica persino a leggere dal gobbo con intonazione. Questo il trio malefico che ha tentato in tutti i modi di affossare la conduzione di Conti, che almeno è sempre proceduta dritta come un treno, senza mai perdersi in troppe chiacchiere.
Arriva poi il discorso ospiti. Perfetti quelli musicali, forse addirittura troppo, visto che con la loro bravura hanno subito fatto capire quanto scarsi fossero i Campioni in gara. Tiziano Ferro, con un medley del suo repertorio passato e recente, ha messo nella sua esibizione la forza e l’energia che mancava a quasi ogni artista in gara, regalando per una ventina di minuti quella magia emotiva che era completamente mancata nella prima ora di spettacolo. Giusti gli applausi a scena aperta, per chi finalmente ha dato una svegliata canora alla manifestazione, rendendo ancora una volta attuale l’enigma del perchè questi veri big non vengano convocati per la gara.
Poi è stata la volta della reunion tra Albano e Romina Power, accolta da una standing ovation che ha il sapore della nostalgia. Nostalgia per i tempi di Pippo Baudo in cui, forse si finiva anche alle tre di notte tra una chiacchiera e l’altra, ma almeno si andava a dormire avendo ascoltato canzoni che rimanevano in testa. Ormai in là con gli anni, ma lontani ancora dall’incartapecorimento degli ospiti di Fazio del 2014, i due hanno regalato al pubblico i loro pezzi più famosi, cantandoli con vera gioia e simpatia. Albano, inoltre, ha replicato il suo sketch delle flessioni, in segno di un nuovo inizio di una carriera che sembra non finire mai.
Infine, gli Imagine Dragons, ospiti internazionali capaci anche loro di scuotere una platea che sembrava sempre più dormiente, inspiegabilmente usciti tardissimo (quasi a chiusura di serata), soprattutto visto il target giovanile a cui dovevano rivolgersi.
Ma se gli ospiti musicali sono andati a gonfie vele, non si può dire lo stesso degli altri.
A cominciare da Alessandro Siani, già presente con Morandi nel 2012, che ha regalato qualche risata sincera ma anche attirato molte critiche per il suo solito fare offensivo nei confronti dei soggetti più facilmente criticabili per strappare risa. È sua la battuta più criticata sui social infatti, quando rivolto ad un bambino sovrappeso ha detto: “Riesci a entrare sulla sedia? Sei uno ma da lontano mi sembravi una comitiva”. Poca roba anche la svolta seria del monologo dove, dopo una frase rovesciata degna di Marzullo (“Vorrei che non fosse l’amore la cosa più bella del mondo, ma il mondo la cosa più bella dell’amore”) ha concluso con uno stiracchiato e appena accennato omaggio a Pino Daniele. Omaggio mai brutto comunque come il tremendo (e menagramo) duetto Arisa-Emma che, sulle note del “Carrozzone” di Renato Zero, hanno voluto ricordare Mango, Giorgio Faletti e il già citato cantautore napoletano.
Non sono mancati anche momenti all’insegna del trash più puro: dalla famiglia Anania di Catanzaro, con prole di 16 figli al seguito, che ha più volte voluto ricordare l’importanza dello Spirito Santo nelle nostre vite; fino all’improbabile imitatore di Michael Bublè che, invitato per prendere tempo in attesa dei risultati del televoto, si è esibito in un breve sketch di pochezza disarmante.
Classifica finale data con la tensione di un’eliminatoria di Miss Italia (che pure passò tanti anni sotto l’egidia di Carlo Conti): ai primi sei posti Dear Jack, Malika Ayane, Chiara, Nesli, Annalisa e Nek mentre, a rischio di eliminazione, la coppia Di Michele-Coruzzi, Lara Fabian, Grignani e Alex Britti. La solita vecchia storia dei cantanti ex talent che in televisione, con il voto da casa, l’avranno sempre vinta. Ma non sarebbe il problema principale di questo inizio sanremese, che ha peccato nel far mancare la cosa che chiunque era sempre riuscito a dare (anche il brutto Fazio 2014): la sensazione di uno spettacolo che arriva una volta l’anno, quella magia qui assente in quella che è sembrata una puntata solo un po’ più lunga di un qualsiasi varietà del venerdì sera.