di Brando Improta
Terza Serata che funge da mini-gara a parte: i 20 campioni si sono esibiti in venti cover scelte nel vasto panorama della musica italiana. Divisi in cinque gruppi da quattro cantanti, si sono sfidati per aggiudicarsi il premio Fiore Cover di Sanremo. La vera gara è stata quindi temporaneamente sospesa, ma si è riusciti a recuperare un pochino di emozioni in più grazie ad alcune performance da applausi a scena aperta. Peccato che il ritmo sia invece venuto meno, complice anche la lunghezza di una serata che è finita oltre l’una di notte.
Carlo Conti ha aperto ringraziando ancora una volta per gli ascolti: 10 milioni di telespettatori e quasi il 41% di share. Meglio dell’anno scorso, ma inferiore a qualsiasi altra edizione dal 2009 al 2013 (anche se Conti continua a pronunciare la parola record a sbafo).
Si è cominciato con la seconda tornata dei giovani: due sfide di coppia con eliminazione diretta. La prima ha visto scontrarsi Giovanni Caccamo con “Ritornerò da te” e Serena Brancale con “Galleggiare”. Lei dotata di una bellissima e delicatissima voce purtroppo non valorizzata dal brano, scritto da sola, fin troppo semplice e basilare nel testo, diventando presto ripetitivo; lui dotato di nessun talento particolare, uno dei tanti giovani urlatori di questi anni (in quest’edizione fa il paio con Nigiotti) che fa rimpiangere il ben più famoso Caccamo di Teo Teocoli. Vince la sfida proprio Caccamo.
La seconda, invece, è una sfida tutta al femminile tra Amara con “Credo” e Rakele con “Io non so cos’è l’amore”. Se Rakele, ragazza di 19 anni, non va oltre un classico pezzo pop sanremese, la vera sorpresa è Amara: la sua canzone dallo stile cantautoriale è la migliore dell’intera sezione giovani, grazie anche ad una voce che ricorda molto Gianna Nannini. Vince, giusto e sacrosanto, Amara.
Si passa quindi alla gara delle cover. I cantanti del primo gruppo sono: Raf con una cover di “Rose Rosse”, portata da Massimo Ranieri al festival nel ’72; Irene Grandi con “Se perdo te” di Patty Pravo dall’edizione 1968; Moreno interpreta “Una carezza in un pugno” di Adriano Celentano del 1968; Anna Tatangelo fa sua “Dio come ti amo” del leggendario Domenico Modugno, cantata nel 1966. La migliore del lotto è, bisogna dire a sorpresa, Anna Tatangelo. La sua potenza vocale riesce a rendere giustizia alla ballata d’amore di Modugno, perdendo sì le sfumature interpretative del suo interprete originale ma rimanendo forte e incredibilmente intensa. Subito dietro la Grandi, che fa una versione quasi rock e orecchiabile della Pravo. Peggiori, e di molto, Raf e Moreno. Il primo conferma la sua completa mancanza di forma per questo festival, con una voce appena percettibile e uno stile blando che mal si adattano alla potenza che richiede la canzone di Ranieri; Moreno invece stravolge completamente il tenero rock del molleggiato con una versione hip hop tremenda, resa ancora più ostica dall’insopportabile zeppola del vincitore di Amici che, per ingraziarsi il pubblico, appiccica al finale un misero freestyle. Vincitore del primo gruppo, con trionfo di ingiustizia, proprio Moreno.
Il secondo gruppo è composto da: Biggio e Mandelli con “E la vita, la vita” di Cochi e Renato; Chiara che rifà la Caterina Caselli de “Il volto della vita”; Nesli con “Mare mare” di Luca Carboni; e Nek con “Se telefonando” portata al successo da Mina.
Chiara e Nesli sono neutri, completamente ininfluenti, magari piaceranno ai loro fan, ma i loro arrangiamenti non colpiscono più di tanto, come i pezzi portati nella gara principale in fondo. Biggio e Mandelli continuano la loro emulazione dello stile Pozzetto-Jannacci, ma tramutano l’allegria del pezzo in uno swing che mal si addice sia all’esuberanza del testo che alle loro misere corde vocali. Molto meglio Nek, che riesce a fare talmente sua la canzone di Costanzo e Morricone, da sembrare un pezzo storico del suo repertortio. Passa, giustamente, Nek.
Il terzo blocco è probabilmente il migliore: Dear Jack con “Io che amo solo te” di Sergio Endrigo; Grazia Di Michele e Platinette con “Alghero” della mai abbastanza ricordata Giuni Russo; Bianca Atzei con “Ciao amore ciao” di Luigi Tenco; Alex Britti, chitarra inseparabile al seguito, con la cover di “Io mi fermo qui” cantata al festival dai Dik Dik e Donatello.
Premettendo che si è trattato dell’unico gruppo formato da quattro cover interessanti, i meno coinvolgenti sono stati i Dear Jack. La loro versione è corretta, più o meno in linea con l’originale e ben interpretata, ma non memorabile. Brava la Atzei che, al di fuori della lagna portata in gara, può dimostrare appieno le sue doti vocali, non facendo per nulla rimpiangere il grande Tenco. Divertente il duo Di Michele-Platinette (si, per questa sera è tornato donna) con una spiritosa versione di “Alghero”, dal ritmo molto fresco ed estivo, quasi ballabile. Fenomenale Alex Britti, che delizia il pubblico con un assolo di chitarra e con una forza vocale ed interpretativa finora sopita in questa edizione sanremese, di sicuro il migliore è lui. Ma a vincere, potenza dei talent, sono i Dear Jack.
Quarto gruppo: Lorenzo Fragola con “Una città per cantare” di Ron; Il Volo con “Ancora” di Eduardo De Crescenzo; Annalisa con “Ti canto” dei Matia Bazar (all’epoca con Antonella Ruggiero); Lara Fabian che rifà se stessa presentando la versione italiana di “Je suis malade” che da noi diventa “Sto male”.
I migliori sono Il Volo: che questi ragazzi siano talentuosi si è capito da tempo, ma rifare De Crescenzo non era facile, eppure ci sono riusciti, con una perfetta alternanza tra loro e tra alti e bassi. Lara Fabian dimostra ancora una volta le sue ottime doti vocali, ma la scelta del brano è fastidiosa più che mai. Perchè portare una propria canzone tradotta in italiano quando bisognava fare una cover di una canzone già nella nostra lingua? Probabilmente un bisogno di pubblicità per una cantante in fondo sconosciuta da noi. Spenta Annalisa, che non riesce ad eguagliare la Ruggiero con una versione pressochè identica all’originale. Pessimo Fragola, evidentemente non ancora pronto per questo palco, a disagio e con un’esibizione tutta in sordina che non piace proprio.
Vince Il Volo.
Ultimo poker di cantanti: Gianluca Grignani omaggia Tenco con “Vedrai, vedrai”; Nina Zilli porta il Ranieri di “Se bruciasse la città”; Malika Ayane canta “Vivere” di Vasco Rossi; Marco Masini rende tributo all’amico Francesco Nuti con “Sarà per te”.
Bravissime la Zilli e la Ayane. Entrambe perfette e vocalmente deliziose, con la prima forse svantaggiata dall’accostamento con la forza di Ranieri. Ma la loro bravura perde in partenza. Griganni e Masini sono commoventi. Il primo, passati i biascicamenti della serata iniziale, regala un sincero omaggio a Tenco, delicato, in punta di piedi e memorabile. Il secondo, da toscano a toscano, ricorda al pubblico che Nuti è ancora qui tra noi e che è stato un grande attore ed un grande regista (nonché discreto cantante). Sarebbe giusto far vincere entrambi, ma non si può, e passa Masini.
Leggermente sottotono la parte ‘ospiti’. Anzi, per la prima volta in quest’edizione sono stati più convincenti i comici che i cantanti. Luca e Paolo, infatti, perse le velleità e l’infausto accostamento a Totò del 2012, hanno regalato due simpatici interventi. Il primo, ficcante e feroce proprio nei confronti di questo festival, con frecciate a Conti, alle vallette, ai cantanti di Amici e all’omaggio funebre del carrozzone della prima serata. Nel secondo invece hanno interpretato una coppia gay del futuro, con satira sull’istituzione del matrimonio e sul veto italiano delle unioni tra omosessuali.
Sul versante musicale, rilevanti sono state le due esibizioni tenorili con chitarra elettrica di Federico Paciotti (ex Gazosa), ragazzo di talento straordinario, capace di far venire i brividi a tutto il pubblico. Mentre la riesumazione degli Spandau Ballet (riunitisi nel 2009) sa troppo di Migliori Anni per essere davvero emozionante, ed è funestata dai ricordi e dalle intromissioni di un Carlo Conti che forse non aspettava altro. E poi i Saint Motel, terzo gruppo acchiappagiovani uscito fuori tempo massimo, quando le palpebre vogliono calare e davvero poco importa di chi ci sia su quel palco a cantare e suonare. La loro hit “My tipe” è simpatica, ma arrivati quasi all’una si poteva anche chiudere direttamente.
Falliti, come sempre, anche i momenti “Tutti cantano Sanremo”, con un soporifero collegamento con l’astronauata italiana Samantha Cristoforetti condotto con le solite domande banali (che tra l’altro impiegano 15 secondi per arrivare a lei, creando una delle interviste più lente della storia); la puntuale marchetta alla fiction Rai con Vittoria Puccini presto interprete del film tv su Oriana Fallaci. Unico momento divertente l’incursione di Massimo Ferrero, che a prima vista sembra un comico, ed invece è un ex produttore cinematografico (sue buona parte delle pellicole di Tinto Brass e il Francesco di Liliana Cavani) e presidente della Sampdoria, che accenna “Vita spericolata” e si prende più volte gioco di Conti, regalando molte risate con i suoi discorsi al limite della supercazzola.
Tremende ancora una volta le vallette, scelta letale di questo 2015: Rocio sempre più esornativa; Emma sempre più inviperita nei confronti di chi la critica si pente pubblicamente di aver accettato la conduzione e dice di non saper parlare perchè mangia calzini; Arisa, che già normalmente non è un asso, è in preda ad antidolorifici per una slogatura e infila una gaffe dietro l’altra (la peggiore: annuncia il pezzo di Tenco cantato da Grignani come scritto nel 1970, quando il cantautore era già morto suicida da ben tre anni).
A vincere la gara cover è infine Nek, che ricanta il suo brano, e pone fine a una serata durata oggettivamente troppo. Certo, stavolta le canzoni e le performance belle ci sono state, peccato arrivassero da testi scritti per la maggior parte oltre quarant’anni fa.