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L’eredità della Primavera Araba e la guerra civile in Libia

141122906-75036f79-7075-4a8b-958d-437bc0352027di Bruno Formicola

Sono passati poco più di quattro anni dallo scoppio della cosiddetta Primavera Araba, la stagione rivoluzionaria scatenatasi nel mondo arabo alla fine del 2010. Oggi continua a sopravvivere sotto forma di guerra civile in alcuni territori come quello libico e quello siriano, contesi dai legittimi governi e da numerosi gruppi armati nati o rinforzati grazie al caos generatosi durante le rivoluzioni.
Il raccolto di questa “stagione” ha dato frutti molto diversi a seconda dei paesi: se in Tunisia il popolo è riuscito a porre fine alla lunga dittatura di Ben-Ali e ad ottenere libere elezioni , in Yemen i ribelli Houti hanno rovesciato il governo del presidente Hadi e nel sud del paese infuria una guerra tra i ribelli e l’organizzazione jihadista Ansar Al-Sharia per il controllo del territorio.
In definitiva, la serie di manifestazioni e proteste, pacifiche e non, che hanno caratterizzato la Primavera, hanno deluso le aspettative di chi, tra i protagonisti locali e gli occidentali, auspicava una rivoluzione radicale del mondo arabo, caratterizzato fino a quel momento principalmente da dittature autarchiche, limitate libertà politiche e civili, alti livelli di corruzione, clientelismo, disuguaglianza economica e presenza pervasiva delle istituzioni religiose nella vita politica.
Le migliaia di giovani che hanno inondato le strade e le piazze egiziane per chiedere maggior democrazia, più occupazione, meno corruzione e più trasparenza, si sono trovati a fronteggiare nuovi governanti altrettanto irrispettosi dei diritti umani e altrettanto spregiudicati e brutali nei confronti degli oppositori politici: il mese scorso un’attivsta egiziana del partito Alleanza Popolare Socialista è stata uccisa durante una manifestazione vicino Piazza Tahrir; l’autopsia ha rivelato che la donna è morta a causa di colpi di arma da fuoco sparati da circa otto metri di distanza.
In Siria sta continuando ad imperversare la guerra civile tra l’Esercito Siriano Libero e le forze governative, contrastate anche dal Fronte Al-Nusra, gruppo fondamentalista alleato di Al-Qaeda. Fino ad ora gli scontri hanno causato più di duecentomila morti e milioni di sfollati, i quali sono costretti a scegliere tra la sopravvivenza nei campi per rifugiati oppure l’emigrazione, soprattutto verso l’Europa.

La cartina della Libia

La cartina della Libia

Ma a destare ulteriore preoccupazione in questi ultimi mesi, soprattutto in Italia, è l’attuale situazione libica. La Libia è il paese emblema del fallimento della Primavera Araba e, insieme all’Iraq, anche ottimo esempio del poco lungimirante interventismo militare dei paesi occidentali. Molti analisti lo definiscono ormai “stato fallito”, poiché le forze armate governative non sono in grado di esercitare il monopolio della violenza sull’intero territorio. Nonostante i gruppi che si contendono il potere siano numerosi, il paese e fondamentalmente diviso tra due coalizioni, ognuna fa riferimento a un proprio parlamento e ad un proprio governo: a Tobruk ha sede il governo laico “democraticamente” eletto guidato da Abdullah al-Thinni, riconosciuto internazionalmente e sostenuto dal generale Haftar; l’altra coalizione è l’islamica “Alba della Libia” che attualmente controlla Tripoli, la capitale, e che non ha riconosciuto le elezioni tenutesi a giugno dello scorso anno. Due città, Derna e in parte Sirte, sono sotto il controllo di alcuni estremisti islamici che pare siano molto vicini all’ISIS. Negli ultimi mesi hanno commesso diversi attentati, e domenica hanno diffuso un video in cui ventuno egiziani di etnia copta vengono decapitati. Secondo il governo di Tobruk, questi avrebbero messo piede anche nella capitale.
La reazione dell’Italia si è fatta subito sentire: il Ministro degli Esteri Gentiloni ha affermato che il paese è pronto ad intervenire e a guidare una coalizione internazionale solo se sotto l’egida delle Nazioni Unite e in seguito all’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. Intanto l’ambasciata italiana in Libia è stata temporaneamente chiusa e i suoi funzionari fatti rimpatriare.
Dalla Francia, il presidente François Hollande invita il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a riunirsi “con urgenza” per riflettere sulla situazione in Libia e adottare nuove misure. Per Matteo Renzi, però, “questo non è il tempo dell’intervento miliare”.