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Il coraggio di scrivere

Il coraggio di scriveredi Emanuele Grillo

Nell’evoluzione della specie umana, la scrittura ha certamente rivestito un ruolo non indifferente, contribuendo infatti ad una maggiore stimolazione delle facoltà cognitive dei nostri antenati, nonché al progredire di quelle piccole comunità e tribù che decisero di trascrivere il loro sapere fino a quel momento radicato in una fitta eredità divulgativa, che si basava sulla più consueta tradizione orale. Dalle prime linee incise con un legnetto in terra per contare alle pitture rupestri della preistoria, la matematica e le trasposizioni figurative narranti le scene di vita quotidiana iniziarono col diventare “tangibili”: l’uomo aveva imparato a tradurre in azione il suo pensiero (oltre che la parola stessa: basti pensare all’alfabeto), immortalandolo su di una parete, su di una foglia, su di una pietra. Ma soprattutto, aveva trovato un altro canale di comunicazione non verbale, ma non per questo di minor potere e, soprattutto, più duraturo nel tempo. “Verba volant, scripta manent”, come sempre si ripete.
Ben presto alla scrittura furono affidati primi moniti con efficacia giuridica, le narrazioni degli accadimenti storici ed i sentimenti degli artisti. Raramente la scrittura riusciva (e riesce tutt’ora) ad esser più efficace di un dialogo orale tra due interlocutori: ciononostante, il giusto accostamento delle parole e del loro suono poteva suscitare nel lettore dei sentimenti per nulla superficiali o banali, infilzandolo nel suo io più nascosto. Com’è necessario saper parlare, quindi, è altrettanto necessario saper scrivere. In ogni frangente, dall’emanazione di una legge imperiale alla lettera per la propria amata. E ne viene fuori che scrivere, al pari dell’arte oratoria e del dialogo, non è da tutti. O meglio, non è da tutti saper scrivere e dialogare. Una constatazione evidente, d’altronde: che diventa quasi oltraggiosa nel momento in cui pensiamo a come potrebbe essere meglio il mondo, se le parole pronunciate e trascritte riuscissero ad unire gli uomini con maggiore efficacia. A prescindere dalle loro lingue.

Come? Tutto dipende dagli intenti. Si può raccontare, si può descrivere, si può eludere, si può mentire, si può schernire. Ed emerge chiaramente immediatamente un secondo aspetto: che il sapere non apporta necessariamente al bene. Poiché le conoscenze, le informazioni e le parole possono avere molteplici finalità, di un numero eguale alle nostre reali motivazioni. Esistono dei linguaggi più scientifici, come i teoremi, o ancora quello giurisprudenziale e normativo. Ma chi studia la legge, sa bene quante sfaccettature possono racchiudersi nella ratio e che, col tempo, possono anche distanziarsi notevolmente dalle intenzioni del legislatore.

Un terzo elemento è necessario inserire, or dunque, nel nostro discorso: il coraggio. Avere il coraggio di saper dialogare o scrivere, ma soprattutto il coraggio di voler dire la verità. Di voler scrivere una legge perché la riteniamo giusta, per noi e per gli altri. Di voler scrivere una lettera perché cerchiamo di comunicare con una persona. Di voler scrivere per descrivere esaurientemente dei fatti accaduti, fornendo al lettore tutti gli elementi per poter attingere ad un’informazione quanto più oggettiva (anche se non esiste, il voler raccontare un episodio piuttosto che un altro implica già una scelta a priori, quindi un’opinione soggettiva) o editorialista – con la presenza della “critica” di colui che scrive – possibile.

Quel coraggio che servirebbe a svolgere quotidianamente il proprio lavoro, a vivere con rettitudine, a scegliere autonomamente. Saper dialogare, saper comunicare e saper scrivere aiutano, infine, a comprendere. Aiutano a leggere e, quindi, ad interpretare il mondo e gli individui che ci circondano.
Come diceva il filosofo greco Gorgia: “La parola è signora”. Un potere che decide la storia dell’uomo da migliaia di anni. Un potere che va saputo utilizzare. Un potere che richiede abnegazione, sincerità e coraggio.