Secondo l’articolo 34 della Costituzione italiana: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.
Lo stato italiano, quindi, dovrebbe tutelare la crescita dello studente, proveniente dalle famiglie meno abbienti, dall’asilo sino all’università.
I padri costituenti erano ben consci del fatto che studiare volesse dire emancipazione. Ma, soprattutto, sapevano bene che gli studi hanno un costo: le famiglie, che non potevano sostenere gli studi dei propri figli, andavano aiutate.
Sono passati sessantasette anni dalla promulgazione della Costituzione, eppure il diritto allo studio sembra essere sempre meno un diritto e più un privilegio. Se si considerano, infatti, i dati dell’accesso all’istruzione universitaria, si nota che negli ultimi dieci anni in Italia ci sono stati ben 58mila studenti universitari in meno. Qualcuno potrebbe obiettare che se ci sono meno iscritti, ciò avviene perché si predilige un altro percorso formativo, magari alcuni studenti, in possesso di un diploma di scuola professionale, riescono a trovare subito un lavoro dopo il diploma. Ma non è così. Infatti, se si guardano le statistiche Istat, si nota che la disoccupazione giovanile in Italia è molto alta, specialmente al Sud, in cui si raggiunge il triste primato del 60,9%.
Fatta questa considerazione, per iscriversi ad un corso di laurea, si capisce come la prima barriera – oltre agli eventuali test d’ingresso – sia il pagamento delle tasse universitarie. Certo, il problema non è comune a tutte le Regioni italiane. Questa disparità è determinata dai servizi che i vari enti mettono in campo per venire incontro agli interessi degli studenti. Su tutti, le borse di studio sono lo strumento principale con cui si sostenta la vita dello studente universitario, facendo respirare il portafoglio della famiglia da cui proviene. Ovviamente, coloro che possono richiedere una borsa di studio devono avere un ISEE massimo pari a 15800€.
In Italia, le borse di studio vengono coperte con la tassa regionale sul diritto allo studio (varia da 105 a 140€ e sono fondi vincolati), con il fondo ministeriale per le borse di studio – in costante decrescita – e con gli stanziamenti regionali: questa è la voce che può fare la differenza e che determina squilibri da regione a regione. Tutte quante prevedono risorse aggiuntive, eccetto una: la Campania.
Proprio nella Regione meridionale, da anni esiste una figura molto temuta dagli studenti universitari italiani: l’idoneo non beneficiario. Tradotto in termini più semplici, questa categoria indica colui che ha diritto alla borsa di studio – da in sede, pendolare o fuorisede – ma per mancanza di fondi, non l’avrà. Avrà diritto, ovviamente, al rimborso della tassa regionale e delle tasse universitarie. Una magra ed amara consolazione.
In Campania, questa figura non è l’eccezione ma quasi la regola. Infatti è dal 2012 che la percentuale di idonei non beneficiari è in costante aumento. Ciò ha delle ovvie ricadute sulla vita degli studenti. In primis, coloro che hanno la necessità – o la semplice volontà – di contribuire al bilancio familiare, cercano un lavoro. Magari part time per non perdere troppe ore di corsi, ma il più delle volte è a nero, sotto pagato e senza tutele. E’ il caso degli studenti fuorisede: oltre alle correnti spese universitarie, devono aggiungere le spese per la casa e per la vita quotidiana. Anche qui, ci dovrebbero essere delle politiche di aiuto. Il condizionale è d’obbligo perché anche le politiche abitative ed il welfare studentesco varia da regione a regione. In Campania, ad esempio, ci sono solo 794 posti letto in studentati e non tutti a prezzi convenienti. Ancora, gli studenti pendolari cercano di limitare al massimo gli spostamenti per non spendere troppo per il trasporto. Anche qui, nella Regione amministrata da Stefano Caldoro, si sono registrati aumenti su aumenti negli ultimi anni e nonostante le tariffe agevolate, il costo non vale il servizio. Per cui o i pendolari sono costretti a non seguire i corsi o devono trasferirsi nella città in cui seguono, aumentando così le spese e le difficoltà. Ma, anche gli studenti in sede sono sfavoriti: non percependo la borsa, questi sentono la colpa di gravare sul bilancio familiare.
Spesso, si pensa erroneamente che avere una borsa di studio significhi semplicemente avere dei soldi per spenderli per la vita universitaria. Si dimentica, però, quello che c’è dietro una borsa: famiglie che non arrivano a guadagnare 15800 euro l’anno hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese e far proseguire gli studi ai figli è un costo non indifferente sul bilancio annuale. Quindi, l’idoneo non beneficiario è una nuova forma di emarginazione sociale di cui nessuno ne vuol parlare.
La politica glissa: la giunta Caldoro, da Palazzo Santa Lucia, non sente la necessità di dare spiegazioni sul fatto che la Campania non integri neanche con un solo euro il fondo per le borse di studio. Preferisce rivendicare con orgoglio la spesa di 650mila euro per digitalizzazione degli istituti secondari primarie superiori. Dopodiché, certamente il diritto allo studio non sarà un tema caldissimo per l’imminente campagna elettorale, ma sembra impossibile che la politica non ne parli.
Tanto per dare delle cifre, l’Azienda Regionale per il Diritto allo Studio l’Orientale deve avere quasi 6 milioni di euro di fondi – funzionamento, servizi e borse di studio. Se non arriveranno, non solo la seconda rata della borsa 2013/2014, la prima rata del 2014/2015 ed il rimborso della tasse non arriveranno mai, ma sono a rischio gli stessi stipendi dei dipendenti, nonché tutti i servizi dell’Adisu, tra tutti il nuovo studentato inaugurato a Settembre con il beneplacito dell’assessorato. Peccato che anche il quel caso è stato solo grazie all’avanzo di bilancio di 1500000 euro dell’Adisu che è stato possibile completare i lavori. La Regione aveva garantito anche lì un impegno, poi non più mantenuto.
Non se la cava meglio la Federico II: qui occorrono quasi 32 milioni per far fronte ai servizi universitari e spese per il personale.
Solo per due università, la Regione Campania ha assegnato e mai erogato quasi 50 milioni di euro fra borse di studio, spese per il personale, e spese per la messa in atto del diritto allo studio. Un quadro che sarà sicuro più preoccupante se si analizzasse il fabbisogno degli altri atenei campani. La politica non può lavarsi le mani: ci sono studenti che rischiano di dover abbandonare gli studi o emigrare verso regioni più virtuose, in cui addirittura potrebbero avere la certezza di percepire una borsa da fuorisede. Un paradosso inammissibile perché una Regione può crescere soltanto se la futura classe dirigente sarà istruita ed emancipata. Al momento, non c’è questa volontà politica. Anzi, in cinque anni di giunta Caldoro, sembra che la Regione Campania abbia tacitamente spinto gli studenti campani “capaci e meritevoli, privi di mezzi” ad emigrare perché il diritto allo studio è una voce di spesa e non di investimento.