Negli ultimi anni il concetto di meritocrazia ha preso il sopravvento nell’ambito accademico: gli studenti capaci devono poter avere le opportunità per inserirsi nel mondo lavoro, senza clientelismi e baronati. Un concetto di per sé è giusto e condivisibile, che tuttavia nasconde generalizzazioni pericolose che non vanno tralasciate.
Complice questa nuova mentalità, si è diffusa nelle università italiane una nuova etica: l’etica della colpa. Gli studenti che non riescono a stare al passo con gli esami sono il capo espiatorio di tutti i mali delle università: il sovraffollamento dei corsi e degli esami, la diminuzioni delle quote attribuite agli atenei – il Ministero calcola le quote sul fabbisogno delle università solo relativamente agli studenti in corso – , il mancato inserimento nel mercato del lavoro, dovuto all’inadeguatezza del percorso accademico ed all’età. Un’etica particolare, perché dichiara colpevoli degli studenti che vanno fuoricorso, senza considerare minimamente il contesto che li circonda.
Innanzitutto, la Costituzione sostiene che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, ma, nella realtà, quanto c’è di vero in questo articolo? Quanti studenti hanno effettivamente delle borse di studio che permettono loro il sostentamento? Dipende dalle Regioni, ma certamente non in Campania, una regione in cui un fuorisede o un pendolare deve trovarsi un lavoro – il più delle volte a nero – per mantenersi gli studi. Lavoro che, però, sottrae tempo prezioso alla vita universitaria: rendendo lo studio lento – ed i ritardi fanno sì che lo studente dia meno esami e rischi di andare fuoricorso.
A volte poi, andare fuoricorso può essere una scelta legittima dello studente che preferisce approfondire il proprio percorso di studio in altre maniere.
Altre volte, accadono delle situazioni paradossali, in cui è la stessa università che mette nelle condizioni di andare fuoricorso. E’ il caso dell’Università dell’Orientale di Napoli: qui, gli studenti che studiano lingue – almeno due per corso di studio, se non anche tre per corso o per scelta – devono sostenere due prove obbligatorie per passare l’annualità di lingua, quella scritta e quella orale. Ora, se per gli orali ci sono i classici due appelli estivi ed invernali, più Novembre e Marzo (non aperti a tutti gli iscritti), per gli appelli scritti c’è solo una possibilità a sessione. Giugno, Gennaio e Settembre. Nulla più. Ora, se uno studente di lingua cinese abbia intenzione di dare cinese ed un’altra lingua, (magari inglese, a giugno) dovrebbe dare due esami nei primi quindici giorni del mese, il più delle volte con poca distanza tra uno scritto e l’altro. Ovviamente, a meno che si dia totale priorità allo studio, non si riusciranno a dare due annualità di lingua a Giugno. Quindi, uno verrà posticipato a Settembre.
Finché si passano gli esami, non c’è problema. Ma se non si passa lo scritto di lingua, non c’è altra scelta che andare alla prossima sessione. Cioè o da Giugno a Settembre, o da Settembre a Gennaio, o da Gennaio a Giugno. Nessun’altra possibilità. Se magari nella data in cui è previsto un esame uno studente è impossibilitato a muoversi – malattia o problemi vari – salta una sessione. Può anche accadere che si rifiuti il voto di uno scritto – per una soddisfazione personale o anche per i calcoli della media. Quest’ultimo caso all’Orientale è molto importante: pochi sanno che in alcune magistrali di lingue c’è uno sbarramento ed il discriminate è il voto di laurea, cioè un 105. Altro paradosso.
Alla luce di questa problematica, Link Orientale, l’associazione studentesca che raccoglie il 93% dei consensi in ateneo, ha promosso una petizione, raccogliendo in sei giorni circa 3500 firme, per chiedere che la proposta di inserire un secondo appello a sessione – quindi Luglio e Febbraio – venga messa all’ordine del giorno del prossimo Polo Didattico.
Logica vorrebbe che questa proposta passi, ma la strada è tutta in salita. La maggioranza dei docenti crede che così facendo l’Orientale diventerebbe un esamificio. Inoltre, lamentano la mancanza di aule per far sostenere gli scritti nei primi quindici giorni di Luglio e Febbraio. Infine, credono che la mole di compiti scritti da correggere sia improponibile.
Una proposta politica che meriterebbe un’apertura di dialogo con gli organi accademici: è giunto il momento di affrontare la situazione senza fare scaricabarile sulle mancanze di aule. Se ci fosse la volontà politica di cambiare, la realtà e le condizioni degli studenti potrebbero essere diverse.
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