La recente sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha riportato l’Italia a quell’increscioso giorno di quattordici anni fa. La notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, dopo quattro giorni di manifestazioni organizzate dai movimenti no-global, il G8 di Genova si concludeva nel sangue della scuola Diaz. Trecentoquarantasei poliziotti fecero irruzione nell’edificio trasformando quella che doveva essere una “perquisizione” in una “macelleria messicana”. Le novantatré persone alloggianti all’interno della Diaz furono arrestate e malmenate da uomini in assetto antisommossa. Sessantatré furono i feriti.
In quella scuola si trovava anche Arnaldo Cestaro, all’epoca sessantaduenne e militante per Rifondazione Comunista, vittima del pestaggio della polizia. L’uomo ha più volte raccontato di essere stato brutalmente picchiato (“Non cancellerò mai l’orrore vissuto”), tanto da essere stato ricoverato e aver subito una delicata operazione. Gli agenti gli ruppero un braccio, una gamba e dieci costole. La conseguenza naturale di tutto ciò sarebbe dovuta essere la punizione esemplare dei colpevoli di azioni inqualificabili, ma in Italia non c’è alcuna legge che preveda il reato di tortura o reati altrettanto gravi. Così, rappresentato da un team di legali, Cestaro ha presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo sottolineando che gli effetti devastanti di quei pestaggi, soprattutto, oggi, effetti psicologici, non lo hanno mai abbandonato e che appare più che mai urgente la necessità di punire adeguatamente i colpevoli.
Da Strasburgo i giudici gli hanno dato ragione in toto, affermando unanimemente che lo Stato italiano ha violato l’articolo 3 della CEDU per cui “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Innanzitutto il trattamento inflitto ad Arnaldo Cestaro è da considerare come “tortura”, senza mezzi termini. C’è da considerare poi l’assoluta inadeguatezza delle leggi italiane che non permettono allo Stato di prevenire con efficacia il ripetersi di nuove possibili violenze perpetrate dalle forze dell’ordine, e a causa delle quali i responsabili non sono stati puniti. L’azione avviata da Cestaro e la conseguente pronuncia della Corte costituiranno sicuramente un precedente per numerosi ricorsi pendenti. Il reato di tortura non può andare incontro a prescrizione, quella prescrizione che ha salvato anche i pochissimi che, tra i responsabili delle violenze, finirono sotto processo in quei giorni.
L’introduzione del reato di tortura sembra essere tassello fondamentale. La proposta di legge a riguardo è all’esame del Parlamento da quasi due anni; il Senato l’ha approvata dopo otto mesi di discussione poco più di un anno fa, mentre la Camera si fa attendere. Il testo è stato comunque modificato dalla Commissione di giustizia e quindi dovrà tornare al Senato. Intanto la Corte di Strasburgo giudicherà anche riguardo a pestaggi, umiliazioni e abusi subiti nella caserma di Bolzaneto da trentuno persone da parte di funzionari di polizia, sempre a margine dei disordini concomitanti al G8 del 2001.
Mentre alcune vittime di quei momenti parlano di piccoli passi avanti finalmente compiuti e senso di giustizia che “comincia” ad avvertirsi, e Cestaro sottolinea che non saranno i quarantacinquemila euro che gli spettano come risarcimento a cancellare le macchie dello Stato, la lezione che arriva da Strasburgo spinge l’Italia ad agire: i diritti civili non possono passare in secondo piano, e una legge sulla tortura condizione essenziale in questa direzione.