di Mattia Papa
Stamattina, intorno alle 9.30, uno striscione è stato calato di fronte alla sede dell’INPS in via Galileo Ferraris con scritto “INPS – Io Non Posso Sognare”. L’azione è stata rivendicata da ACT! Agire Costruire Trasformare, da Link Napoli – Coordinamento Universitario e l’Unione degli Studenti Napoli, che si inscrive nella mobilitazione che in tutto il Paese si è messa in campo durante la mattinata, culminante con lo Speaker’s Corner della Coalizione 27 Febbraio ai piedi dell’INPS a Roma, entrando così nel vivo del dibattito sul reddito, argomento già in agenda dei parlamentari dal Pd al M5S.
Eppure, tutte le soluzioni ragionate dai parlamentari in vista di una proposta di legge, ben poco risolvono il problema del reddito, poiché escludenti verso la maggior parte della popolazione interessata ad avere un reddito di base per poter altrettanto avere un tenore di vita dignitoso, il che esprime la cifra del reale interesse riguardo alla questione. Interesse che ritorna se incentivato da voci autorevoli come il presidente dell’INPS Boeri (negli ultimi giorni alle prese con un accesso dibattito con il Ministro Poletti a riguardo) e Don Ciotti. Gli immancabili hashtag della giornata, che hanno fatto il giro del web, sono #DilloaBoeri, #operazionetrasparenza e #IoNonPossoSognare.
La questione del reddito è un tema presente sulla scena delle rivendicazioni sociali da diversi anni, ed è stato al centro delle mobilitazioni degli ultimi mesi come primo passo per uscire dalle politiche di austerità, madre della disoccupazione di massa (soprattutto giovanile), di lavori con sempre più bassi compensi, discontinuità di reddito, impoverimento crescente, smantellamento delle protezioni sociali, espulsione censitaria dai luoghi della formazione.
Da ottobre ad oggi, diverse volte il Paese ha manifestato mantenendo centrale il reddito come promotore di tutte le rivendicazione. Si ricordi il 14 novembre con il Social Strike, che portò i movimenti sociali e sindacati tra le strade di tutta Italia (emblematica la giornata partenopea in cui si occupò la tangenziale di Napoli) rivendicando – tra le altre cose – un reddito di base e un salario minimo europeo contro la precarietà.
Il dibattito è stato poi rianimato ultimamente da Libera contro le Mafie (insieme a BIN e CILAP e la piattaforma della Coalizione 27 Febbraio), che appunto sostiene una strada diversa e contrapposta al workfare renziano, finalizzato a persuadere il Paese a qualsiasi tipologia di lavoro senza considerare diritti riconosciuti e livelli retributivi. L’organizzazione di Don Ciotti attribuisce infatti all’assenza di un reddito di base (“reddito di dignità”) e quindi ad una povertà dilagante nel periodo di profonda crisi economica che viviamo, una delle maggiori cause affinché sia possibile l’emergere della criminalità organizzata.
Infine è proprio Tito Boeri, da alcuni mesi alla presidenza dell’INPS, ad aver ripreso le fila del discorso spostando la discussione del Paese sull’argomento, sottolineando la necessità di riconcentrare l’attenzione del parlamento, intorno al sistema pensionistico e agli strumenti di sostegno al reddito. Boeri sottolinea la necessità di garantire un reddito minimo agli over 55. Ed è questo il quadro in cui oggi le iniziative si inscrivono.
“Siamo condannati – scrivono le ACT! e la Rete della Conoscenza Napoli nel comunicato comune – ad una vita di eterna precarietà: quella precarietà che inizia tra i banchi di scuola e dell’università e continua quando ci mettiamo alla ricerca di un lavoro spesso sottopagato, se non addirittura gratuito e/o a nero. Senza un sistema di welfare universale, slegato dall’impianto familista e dall’ottica lavorista, non abbiamo la possibilità di sognare”.
“Diciamo basta al lavoro nero – continuano – e respingiamo qualsiasi retorica per cui le riforme delle pensioni sono state approvate per noi, chiediamo un presente e un futuro di diritti, tutele e welfare. Leggere i nostri estratti contributivi è aberrante: il colore verde della cosiddetta ‘gestione separata’, la cassa contributiva di contratti a progetti e precari, predomina. In queste condizioni non è possibile neppure fare una proiezione delle nostre pensioni future”.
“Noi vogliamo – concludono – il diritto di sognare. Vogliamo poter restare in questa regione per poter studiare come lavorare. Vogliamo vivere una vita dignitosa senza essere ricattati o sfruttati sul posto di lavoro. Vogliamo avere un futuro all’altezza delle nostre aspettative e non siamo disposti a rinunciarvi per difendere ancora gli interessi di coloro che hanno devastato le nostre terre e lucrano sulla povertà e la disperazione delle persone”.