Uno dei decreti attuativi del Jobs Act ha come oggetto principale il riordino degli ammortizzatori sociali, disponendo una nuova indennità di disoccupazione per i collaboratori con rapporto di collaborazione coordinata, la cosidetta “DIS-COLL”. Essa ha come destinatari “i collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto – con esclusione degli amministratori e dei sindaci – iscritti in via esclusiva alla gestione separata presso l’INPS, non pensionati e privi di partita IVA, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione”.
Tuttavia, la formula utilizzata dal D.Lgs n.22 del 4 Marzo 2015 è molto ampia e poco chiara. Il provvedimento lascia intendere che gli ammortizzatori si estendano a tutti i collabotari coordinati e continuativi? O ci sono figure che ne hanno diritto e altre no? Giuridicamente, si potrebbe interpretate la norma in maniera estensiva o con il silenzio assenso, affermando che gli ammortizzari sono previsti per tutti i “collaboratori coordinati e continuativi”.
Invece no. Sono, infatti, esclusi i dottorandi con borsa e gli assegnisti di ricerca, figure chiave per le università italiane. Circa un terzo del personale accademico è composto da queste figure, spesso determinanti per gli atenei e gli enti, sempre più in difficoltà a causa dei continui tagli finanziari e del blocco del turn over. Infatti, gli assegnisti, dottorandi e borsisti garantiscono una duttilità all’interno delle università: ricerca ma anche didattica – sebbene non tutti possano farlo secondo la legge, ma la realtà è ben diversa – rendendoli dei veri e propri lavoratori precari. In realtà, gli assegni di ricerca sono omologati ai collaboratori coordinati e continuativi. Ancora, queste figure versano oltre il 30% del loro reddito alla gestione separata INPS per contributi sociali e previdenziali, ricandendo nella categoria dei “lavoratori parasubordinati. Per le mansioni da loro svolte, appaiono assimilabili ai lavori a progetto.
L’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani (ADI) ha subito promosso un’interrogazione all’INPS e al Ministro del Lavoro, Poletti. Quest’ultimo sostiene che il lavoro svolto dagli assegnisti di ricerca non è un vero e proprio lavoro, quindi, niente estesione degli ammortizzatori sociali previsti dal Jobs Act.
Nel mondo universitario italiano si assiste a un grave paradosso: da un lato si sente spesso parlare di fuga dei cervelli e si prova, astrattamente, a trattenere i giovani ricercatori cosicché possano innovare, produrre brevetti e fare ricerca. Dall’altro lato, i non investimenti nella ricerca, i tagli alle università e la mancanza di welfare verso i ricercatori, sempre più precari, rendono molto difficile la scelta di restare in Italia, in cui manca un vero e proprio sistema di ammortizzatori sociali per i soggetti più fragili.
Per questo motivo l’ADI e la Federazione Lavoratori della Conoscenza della CGIL hanno promosso, su change.org, una petizione online #perchènoino per chiedere al ministro Poletti di estendere la DIS-COLL ai dottorandi e assegnisti.
Fare ricerca per gli atenei è un lavoro e non un hobby. E, in quanto tale, va equiparato alle altre figure professionali con le stesse mansione per evitare di creare ulteriori discriminazioni.
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