di Marco Chiappetta
CANNES – La giuria presieduta dai fratelli Coen ha annunciato il suo verdetto: è “Dheepan” la Palma d’oro di questa 68esima edizione del Festival di Cannes. Strameritato il premio al film di Jacques Audiard, struggente e sconvolgente storia di immigrazione, integrazione e violenza, un film tra i più belli del suo autore e di quest’annata cinematografica altalenante. Audiard era già stato premiato a Cannes per la sceneggiatura (“Un héros très discret”) e con il Grand Prix (“Il profeta”), ma il premio più illustre arriva quest’anno con quest’opera preziosa, necessaria, bellissima, attuale come poche. Il cinema francese, di cui per il resto abbiamo parlato in termini non lusinghieri, porta a casa i premi per i migliori attori: giustissimo quello per Vincent Lindon, eroe kafkiano dell’onesto “La loi du marché”, mentre pare più inaspettato l’ex aequo di Emmanuelle Bercot, inteprete di “Mon roi” di Maiwenn, con l’americana Rooney Mara (“Carol”). Il premio alla regia è del taiwanese Hou Hsiao-sien (“The Assassin”), quello per la sceneggiatura a Michel Franco, anche regista di “Chronic”. Il premio della giuria va al primo film in lingua inglese del greco Yorgos Lanthimos (“The Lobster”) e il Grand Prix, meritato, al dolente “Son of Saul”, cronaca allucinata di un itinerario ad Auschwitz, dell’esordiente ungherese Laszlo Nemes. La camera d’or, il premio al miglior esordiente, va però al colombiano “La tierra y la sombra” di Cesar Augusto Acevedo, mentre la Palma d’oro al miglior corto è per un gioiellino d’animazione, “Waves ‘98” del libanese Ely Dagher, e trionfa a Un certain regard l’islandese “Hrùtar”, di Grimur Hakonarson.
Nonostante tre film in competizione ufficiale, l’Italia resta a bocca asciutta. Poco male, perché Garrone, Moretti e Sorrentino, pur con film minori e per certi versi meno brillanti rispetto alla loro filmografia precedente, hanno riscosso grande plauso e ammirazione. Il cinema italiano c’è e piace, ma certo sarebbe bello che a ottenere questo prestigio non siano sempre e solo i soliti noti. Se la Palma d’oro era certa a Audiard, si potrebbe forse recriminare per una mancata, seppur esigua ricompensa, a uno dei tre tenori, ma la giuria, come spesso accade, ha premiato film impegnati e sociali (immigrazione, Olocausto, disoccupazione), o semplicemente più universali: una scelta comunque avallata dalla qualità dei film di questa edizione, onesta, accettabile, se non altro migliore della precedente. L’Italia comunque ha il suo piccolo premio: il geniale cortometraggio “Varicella”, del ventiquattrenne Fulvio Risoleo, vince come miglior film alla Semaine de la critique. Forse, parafrasando l’ultimo film di Sorrentino, la soluzione è la giovinezza, il futuro.