E’ uscita in questi giorni la seconda edizione del libro “Stalin, storia e critica di una leggenda nera” (Ed. Carocci, 2015, 384 p.,18€), scritto dal filosofo e storico italiano Domenico Losurdo (Università degli Studi di Urbino). Autore di numerosi saggi tradotti in varie lingue, Losurdo ha dedicato la sua attenzione ad argomenti di storia della filosofia (Hegel e la libertà dei moderni; Nietzsche, il ribelle aristocratico; ecc.) ma anche alla riconsiderazione critica di alcuni periodi e fenomeni storici (Controstoria del liberalismo). Nel suo libro su Stalin, Losurdo non intende “riabilitare” la figura dello statista georgiano facendone l’apologia, o fornire “giudizio morale” su Stalin, ma piuttosto problematizzare e verificare quanto dell’opinione ormai dominante sia deducibile legittimamente dal piano storico o se invece essa non sia il frutto di una determinata “demonizzazione” messa in atto per delegittimare la figura del leader sovietico. Sarebbe assurdo prescindere dal fatto che in un certo momento storico l’Unione Sovietica ha rappresentato un’alternativa (se non altro, nelle intenzioni) al sistema “occidentale” di gestione dello stato e dell’economia. Dunque l’immagine di Stalin che abbiamo noi oggi deve essere necessariamente il frutto dello scontro ideologico in atto nel corso della Guerra fredda. D’altronde nel 1949 il presidente dell’American Historical Association aveva dichiarato: “Non ci si può permettere di essere non ortodossi (…) la guerra totale, calda o fredda che sia, recluta ognuno di noi e chiama ognuno a fare la sua parte. Da questa obbligazione lo storico non è più libero del fisico”.
E’ bene cominciare dall’inizio, quando la fama di Stalin, è per così dire, alle stelle. Egli è adulato anche dagli anticomunisti. Alcide de Gasperi nel 1944 celebrò “il merito immenso, storico, secolare, delle armate organizzate dal genio di Giuseppe Stalin”. Secondo il capo della Democrazia Cristiana il tentativo dell’Unione Sovietica di Stalin di far convivere pacificamente diverse razze era “uno sforzo verso l’unificazione del consorzio umano (…) questo è cristiano, questo è eminentemente universalistico nel senso del cattolicesimo”. Egli non è l’unico, e infatti su questo piano gli fa eco la filosofa Hannah Arendt nel 1945, secondo cui Stalin si era distinto per il “modo, completamente nuovo e riuscito, di affrontare e comporre i conflitti di nazionalità, di organizzare popolazioni differenti sulla base dell’eguaglianza nazionale”, una sorta di modello “cui ogni movimento politico e nazionale dovrebbe prestare attenzione”. Fra gli altri giudizi positivi Losurdo cita Churchill, Norberto Bobbio e Benedetto Croce.
Allo scoppio della Guerra fredda il quadro comincia a mutare radicalmente. Hannah Arendt nel 1951 pubblica il suo libro sul totalitarismo, equiparando il comunismo russo e il nazifascismo. Era un’operazione la cui pericolosità era stata messa in luce da Thomas Mann qualche anno prima: “Collocare sul medesimo piano morale il comunismo russo e il nazifascismo, in quanto entrambi sarebbero totalitari, nel migliore dei casi è superficialità, nel peggiore è fascismo. Chi insiste su questa equiparazione può ben ritenersi un democratico, in verità e nel fondo del cuore è in realtà già fascista”.. Un’altra svolta rilevante si ha con il discorso di Nikita Chruščëv in occasione del XX Congresso del partito comunista dell’Unione Sovietica, divenuto celebre come “Rapporto segreto”. In tale rapporto si muovevano grandi accuse nei confronti di Stalin in generale e sul suo operato. Egli fu accusato da Chruščëv di non aver sufficientemente preparato le difese contro l’invasione tedesca del 1941, e inoltre, di “segnare la linea del fronte sul mappamondo”. Ma, argomenta Losurdo, “i documenti provenienti dagli archivi russi dimostrano che, almeno nei due anni immediatamente precedenti l’aggressione del Terzo Reich, Stalin è letteralmente ossessionato dal problema dell’incremento quantitativo e del miglioramento qualitativo dell’intero apparato militare”. Così procede Losurdo, utilizzando un metodo comparatistico tra le varie fonti e facendole dialogare tra loro, al fine di non assolutizzare una sola immagine di Stalin, ma di rendere l’idea di quanto abbiano contato sulla sua reputazione successiva gli attacchi sia interni, provenienti dal gruppo dirigente bolscevico, sia esterni, promossi da quanti avevano interesse a muoversi contro l’Unione Sovietica.
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