Dopo aver mostrato al mondo di non avere a cuore i basilari principi democratici e di non essere particolarmente ferrato in economia, il governo di Nicolas Maduro continua a sorprendere: l’ex autista di autobus, già Ministro degli Esteri e attuale Presidente della Repubblica del Venezuela, ha riportato a galla una disputa territoriale vecchia di diversi secoli. Il Venezuela mira ad impossessarsi “pacificamente” di una regione chiamata Essequibo, che compone circa i due terzi della Repubblica Cooperativa di Guyana (da non confondere con la Guyana francese), confinante con la parte orientale del paese. Le origini della controversia si inscrivono nel quadro di ostilità che nel diciottesimo secolo caratterizzava il rapporto tra gli imperi coloniali, in questo caso quello inglese e quello spagnolo. Nel 1895 la tensione tra il Venezuela, divenuto indipendente dalla Spagna nel 1811, e la Guyana, allora colonia britannica, fece quasi scoppiare un conflitto armato. Conscio della propria debolezza, il Venezuela si appellò agli Stati Uniti, che in ossequio alla dottrina Monroe si opposero all’ingerenza dei britannici nel continente, i quali volevano che la linea di confine della guyana fosse fissata più ad ovest. Nel 1899 una giuria composta da cinque giudici, due britannici, due statunitensi (schierati con il Venezuela) e un russo (considerato neutrale) sentenziò in favore della Gran Bretagna; la Repubblica Bolivariana non riconobbe la decisione della corte e nel 1962 presentò un ricorso. Nel 1966 l’Accordo di Ginevra stabilì che le due parti avrebbero dovuto cercare una soluzione pacifica per risolvere la controversia.
Tuttavia, la disputa è rimasta in letargo fino al mese scorso, quando Maduro ha deciso di rievocarla ed utilizzarla, probabilmente, come arma di distrazione di massa dai principali problemi quotidiani: scarsità di beni primari (carta igienica, alimenti) e inflazione (la più alta del mondo). L’indice di gradimento del presidente è sceso intorno al 25% e un richiamo al sentimento di appartenenza nazionale potrebbe essere l’ultimo tentativo per attirare a sé il favore del popolo prima delle elezioni di dicembre, da cui ne uscirebbe, salvo brogli, sicuramente sconfitto. Il rinnovato interesse per la disputa territoriale è coinciso anche con la scoperta da parte della multinazionale statunitense Exxon Mobil di una riserva di petrolio nelle acque della Guyana. Il Venezuela ha chiesto che la Exxon abbandonasse il sito perché appartenente alla propria Zona Marittima di Difesa, ha accusato il governo della Guyana di “attaccare la dignità del popolo venezuelano” con il sostegno della Exxon Mobil e “della lobby internazionale statunitense del petrolio” ed ha etichettato il presidente David Granger come lacchè dell’imperialismo statunitense. Deciso a trovare una soluzione pacifica, Maduro si è appellato al Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon affinché funga da mediatore, ed ha assegnato ad un ex colonnello, Pompeyo Torrealba, il compito di guidare una nuova agenzia governativa nominata “Ufficio di Liberazione di Essequibo”, il cui piano iniziale consisterebbe nel distribuire duecentomila carte di identità venezuelane agli abitanti della zona contesa. Il colonnello ha anche annunciato un piano di campagne pubblicitarie per guadagnare la loro benevolenza.
Il governo della Guyana ha risposto definendo la pretesa del Venezuela come una “minaccia alla pace e alla sicurezza regionale” e una “evidente violazione della legge internazionale”. La comunità caraibica (CARICOM), di cui la Guyana è membro, si è schierata con l’ex colonia britannica.
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