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11 settembre 2001: una lettura politica dell’accaduto e delle sue conseguenze

Articolo #29 - 11 settembre 2001, una lettura politica  dell’accadutodi Marco Passero

L’importanza di un giorno solo nella storia del mondo, una data entrata prepotentemente nel lessico del nuovo millennio. Dell’attentato terroristico che nel settembre 2011 ha colpito il World Trade Center di New York, distruggendo le torri gemelle, sono state date varie interpretazioni: odio islamico contro il capitalismo, scontro di civiltà in chiara visione huntingtoniana, ennesima dimostrazione della follia umana, o addirittura rivincita della politica che torna a essere centrale nei destini dell’umanità.

Parliamo di un evento che ha dimostrato quanto ciò che accade in un singolo luogo possa essere privato da un’imperante globalizzazione del suo carattere circoscritto e giungere a incidere significativamente su tutta la superficie planetaria, e che è stato capace di influire non soltanto sulla vita politica, ma anche sul modo di vivere il quotidiano, sugli usi linguistici e i riferimenti metaforici all’accaduto, o sulle modalità dei viaggi aerei, con controlli corporali. L’attentato è stato anche inteso come un attacco politico volto non soltanto a causare una mortalità di massa o a infliggere danni agli americani, ma anche a colpire stili di vita e valori occidentali non condivisi da al-Qaida.

Dal secondo dopoguerra il mondo si era strutturato attorno al bipolarismo. Dopo il crollo del muro nel 1989 e l’implosione dell’Unione Sovietica nell’estate del 1991, gli Stati Uniti giunsero alla vittoria di una sorta di terza guerra mondiale non combattuta ma vinta, restando l’unica grande potenza al mondo. Con questa “fine” del terrore nucleare si è diffusa una sorta di ansia dell’imprevedibile, dell’incapacità di controllare ciò che non si conosce. Potremmo affermare che il post-undicisettembre non sia stato capace di dare risposta all’evento. Esso è stato caratterizzato dal diffondersi della crisi finanziaria mondiale che, come l’attentato terroristico, non era prevista dagli specialisti, ma ha avuto come effetto la diffusione di panico e di ulteriori crisi finanziarie statali.

Quel che conta maggiormente non è tanto cosa successe quel giorno – anche se è comunque importante sottolineare che tutta la storia si sia svolta in un solo giorno, arco temporale minimo che rende tale data comparabile soltanto con pochissime altre – ma piuttosto ciò che accadde dopo: l’avvio di politiche contro-terroristiche da parte degli USA. Merita di essere sottolineato il fatto che per la prima volta un gruppo privato è stato in grado di portare un attacco non-militare ma violento contro gli Stati Uniti, e che la reazione statunitense sia consistita in quella che poi si chiamò “guerra al terrore”, con la paradossale logica di combattere il terrorismo proprio con la guerra per impedire il verificarsi di altri episodi del genere. Ciò è stato possibile poiché, pur non trattandosi di una vera e propria crisi politologicamente intesa, l’evento ha creato una grandissima “emozione” nell’opinione pubblica, un coinvolgimento senza precedenti drammaticamente vissuto con senso di impotenza e frustrazione, su cui il governo americano impiantò nell’immediato la sua contraddittoria reazione. Le successive guerre in Afghanistan e Iraq, tuttavia, non hanno portato alla cattura dei ricercati e non hanno esportato la democrazia in nessuno dei due paesi. Come afferma Luigi Bonanate in una sua monografia (L. Bonanate, Undici settembre. Dieci anni dopo, Milano, Mondadori, 2011) “L’undici settembre non ha cambiato il mondo, ma il nostro modo di guardare il mondo è cambiato con l’undici settembre”.

 

In conclusione è opportuno affermare che si è trattato probabilmente del più grande inganno mai costruito nella storia: inganno di bin Laden – è difficile comunque che la sua cattura possa avere costituito un danno per il terrorismo internazionale, nonostante l’ineffabile dichiarazione di Obama, “Giustizia è stata fatta”) e di al-Qaida, che non sono stati abbastanza forti da reggere la sfida che essi stessi hanno lanciato al potere americano e occidentale; ma anche inganno del mondo occidentale stesso che ha voluto autoconvincersi di essere sottoposto a un ricatto universale al quale non avrebbe potuto sfuggire se non con una “guerra al terrorismo” insensata in teoria, inefficace in pratica, ma iconograficamente rassicurante e avvertita come necessaria.