Giancarlo Siani venne assassinato a pochi passi dalla sua abitazione in Piazza San Leonardo al Vomero, mentre era a bordo della sua Citroën Méhari, esattamente trent’anni fa – il 23 Settembre 1985. Solo poco tempo prima era stato regolarizzato nella sua posizione di giornalista a “Il Mattino”, dopo aver passato diversi anni come corrispondente ‘abusivo’ da Torre Annunziata (‘abusivo’ come sinonimo di ‘precario’ negli anni ’80 era usato per i giornalisti che non avevano un regolare contratto). Fino ad oggi è il primo e unico cronista a essere caduto vittima della Camorra. La straordinarietà di questo evento – Cosa Nostra è ricorsa a questo estremo gesto molto più frequentemente – impone una ricostruzione dei retroscena criminali scoperchiati dalla penna di Giancarlo Siani, ma anche delle dinamiche dell’intero fenomeno camorristico in quegli anni.
Le radici sono quelle della guerra scoppiata alla fine degli anni Settanta tra la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e la Nuova Famiglia, cartello dei clan ‘tradizionali’ capitanata da Carmine Alfieri di Nola. Raffaele Cutolo, detto ‘O Professore, riesce a costruire un impero criminale dal carcere di Poggioreale traendo dalle pratiche iniziatiche della camorra ottocentesca e costruendo un rapporto saldissimo con i suoi affiliati, alle cui famiglie garantisce uno stipendio e protezione legale. Da Ottaviano (città natale del boss) si espande rapidamente nei comuni vesuviani fino a lambire il centro antico di Napoli, dove entra in collisione con i clan della zona. La guerra scoppia per il tentativo di Cutolo di imporre una tangente su ogni attività illegale ed il suo rifiuto di ogni tregua: le vittime dal 1979 al 1984 sono 987, con il picco di 238 nel 1983. La ‘vittoria’ è della Nuova Famiglia, per una serie di motivi concomitanti concentrati quasi tutti tra il 1982-83. Cutolo viene trasferito dal carcere di Ascoli Piceno a quello di massima sicurezza dell’Asinara su appello del presidente Pertini. L’isolamento che ne deriverà contribuirà a privare la NCO della sua testa. Nel Gennaio 1983 Vincenzo Casillo, secondo in comando del clan, muore nell’esplosione della sua automobile a Roma. Pasquale Barra – uno dei più prolifici e sanguinari sicari (detto il boia delle carceri essendo molte delle sue vittime detenuti e ‘o nimale per l’efferatezza con cui compiva gli assassini) – si dissocia da Cutolo decidendo di collaborare con la giustizia. Le sue rivelazioni porteranno al maxi-blitz contro la NCO del Giugno 1983 e l’arresto di 850 suoi affiliati (tra cui lo sfortunato Enzo Tortora, vittima delle macchinazioni di Barra, il quale non esita a sfruttare la propria posizione di pentito per i propri interessi).
Vinta la guerra contro Cutolo, la Nuova Famiglia si disintegra quasi subito. Troppi i clan, troppo diversi gli interessi di ciascuno perché riesca a mantenersi lo status quo. In seno ad essa scoppia adesso il conflitto tra Antonio Bardellino, di San Cipriano d’Aversa, e il clan Nuvoletta di Marano. La faida segue le orme della seconda guerra di Mafia che sta insanguinando in quegli anni in Sicilia, essendo i due clan i principali referenti delle fazioni in lotta in Campania: Bardellino, attraverso la mediazione di Raffaele Ferrara (capo della camorra dei ‘Mazzoni’) era entrato in contatto con Tano Badalamenti, e quindi con Tommaso Buscetta; i Nuvoletta, dagli anni Settanta avevano intrecciato una serie di rapporti economici con Bernardo Provenzano e Salvatore Riina. La guerra tra i due clan scoppiò al rifiuto di Bardellino di eseguire l’ordine di Luciano Leggio di uccidere Tommaso Buscetta – il quale nel 1984 inizierà a collaborare con Giovanni Falcone.
La vicenda giornalistica di Giancarlo Siani si inserisce nel conflitto a livello campano tra i due gruppi. Da un lato Bardellino con gli Alfieri e i Fabbrocino, entrambi di Nola, e i Nuvoletta con i D’Alessandro di Castellammare di Stabia e i Gionta di Torre Annunziata. Quest’ultimo clan è comandato da Valentino Gionta, il quale in questi anni vive una sorta di periodo d’oro: da mercante ittico di Torre a boss incontrastato del mercato ittico che quello della droga della città, che dirige dalla sua roccaforte nel ‘quadrilatero delle carceri’, il cosiddetto ‘Forte Apache’ (o Fortàpasc), nel suo quartier generale di Palazzo Fienga. Il controllo esercitato sul territorio ha dei paralleli con quello di Scampia. Un dedalo di vicoletti inaccessibili alle forze dell’ordine e il mercato della droga a cielo aperto. L’ascesa di Gionta fa preoccupare Bardellino il quale, il 26 Agosto del 1984 fa piombare su Torre Annunziata, a bordo di autobus con il cartello ‘gita turistica’, un commando armato – composto da uomini di Carmine Alfieri – che spara sugli avventori del Circolo dei Pescatori, affiliati del clan. È uno degli episodi più sanguinari della faida.
Nel frattempo Siani continua ad indagare sugli intrecci tra i diversi clan, tra la camorra e la politica. Non bisogna dimenticare che nella Camorra si stava assistendo all’accrescersi esponenziale del rapporto simbiotico tra i clan e le amministrazioni locali, processo alimentato dalla valanga di fondi sbloccati all’indomani del Terremoto in Irpinia del 1980. L’interesse dei clan verso quegli enormi flussi di denaro – che si allargavano (e allargano ancora oggi) ai contributi della Comunità Europea, le sovvenzioni statali e gli appalti pubblici – portò a un infiltrazione nei tessuti della politica, se non addirittura a una ‘commistione’. Come nel caso della ‘holding camorristica’ dei Nuvoletta, diversificata nelle attività e beneficiaria di fidi facili concessi per miliardi di lire da alti funzionari del Banco di Napoli.
L’8 Giugno 1985 Valentino Gionta viene arrestato in una tenuta di Marano, in pieno territorio dei Nuvoletta. Nell’articolo del 10 Giugno seguente, Siani, supportato da una fonte interna ai Carabinieri, parla di una ‘soffiata’ da Poggio Vallesana che ha reso possibile l’arresto: Poggio Vallesana il quartiere generale dei Nuvoletta a Marano, i quali erano divenuti sempre più insofferenti del potere di Gionta – furono infatti degli ultimatum agli spacciatori legati a Bardellino a scatenare la strage del 2 Agosto. L’eliminazione di Valentino dalla piazza avrebbe prodotto “una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana” e “La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di «Nuova famiglia», i Bardellino” scrive inoltre. Queste tesi vengono viste come una calunnia da parte dei Nuvoletta, che temono di fare la figura degli ‘infami’ e per questo decidono, in un summit a Ferragosto, di uccidere Giancarlo Siani, ritornando così al principio di questo articolo. Per questo omicidio nel 1997 sono stati condannati all’ergastolo come mandanti Angelo e Lorenzo Nuvoletta e Luigi Baccanti, e come esecutori materiali Armando Del Core e Ciro Cappuccio. Valentino Gionta è stato prosciolto dalla Cassazione per non aver commesso il fatto. Gli articoli di Roberto Paolo e il suo libro-inchiesta “Il caso non è chiuso” hanno indotto nel 2014 la Procura di Napoli a riaprire il caso, seguendo una pista che nella prima inchiesta fu accantonata, quella legata allo scandalo delle cooperative di ex-detenuti gestite dal clan Giuliano – che così entrano nel novero dei mandanti, assieme ai Nuvoletta e Gionta – e gettando ombre sui veri esecutori materiali dell’omicidio, che Paolo individua tra i membri di una banda di Chiaia negli anni ’80 al soldo dei Giuliano.
La presenza di una tale quantità di fattori concomitanti nell’intera vicenda, che va dalle dinamiche del traffico internazionale di droga, dei flussi di denaro pubblico e privato, a quelle tra i singoli clan locali, fa sì che non ci possa essere un’unica verità sulla vicenda. Ma ciò rende necessaria una ricostruzione ancora più minuta del quadro, in modo che l’appello lanciato nella prima pagina de “Il Mattino” del 24 Settembre 1985 – VOGLIAMO SAPERE – si realizzi. Facendo tesoro allo stesso tempo della lezione che Giancarlo ha lasciato con il suo esempio. Quella di un giornalismo coraggioso e senza timori nello scavare la realtà sociale.