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Il processo di democratizzazione del Parlamento Europeo continua

strasburgo1di Bruno Formicola

Era il 1976 quando la prima grande rivoluzione democratica investì l’istituzione simbolo della democrazia del vecchio continente, il Parlamento Europeo. Tre anni prima l’europarlamentare del partito laburista olandese Schelto Patijn si era adoperato affinché i cittadini degli allora nove stati membri potessero eleggere direttamente i parlamentari con il loro voto, ma i risultati arrivarono più tardi, quando il Consiglio firmò il progetto di legge. L’idea di un Parlamento eletto direttamente dai cittadini e non dai membri dei parlamenti nazionali era già nata in seno ai padri dell’Unione durante il Trattato di Roma, che dettero il mandato ai membri del parlamento di modificare la procedura elettorale; Patijn fu preceduto dal socialista belga Dehousse, che nel 1960 scrisse il primo progetto di legge dedicato a questo ambizioso obiettivo. Oggi, dopo la recente conquista ottenuta con il Trattato di Lisbona (2007) che rende i poteri legislativi del parlamento equivalenti a quelli del Consiglio dell’Unione Europea, potremmo trovarci di fronte ad un’altra riforma democratica. I parlamentari infatti hanno adottato una proposta di emendamento alla legge elettorale dell’UE, modificata per l’ultima volta proprio nel 1976, che permetterebbe ai cittadini europei di eleggere direttamente il presidente della Commissione; si tratta dunque di normalizzare e implementare una pratica già adottata nelle ultime elezioni avvenute a maggio dello scorso anno, dove abbiamo assistito alla nomina di Jean Claude Juncker, già presidente del Partito Popolare Europeo, vincitore delle elezioni, preceduta da un dibattito in stile americano tra i candidati membri dei diversi partiti europei. Prima del 2014 il presidente della Commissione era cooptato dai governi nazionali, mettendo così in secondo piano il voto dei cittadini. Il parlamento non sta cercando di cambiare solo questo aspetto del sistema elettorale; le attuali differenze esistenti tra le legislazioni dei diversi stati membri non permettono ai cittadini europei di esprimere un voto che abbia lo stesso valore, questo porta ad una inaccettabile distorsione della democrazia, il Parlamento intende quindi rendere il processo elettivo più transnazionale e uniforme. Ad esempio i cittadini di Malta, Repubblica Ceca, Slovacchia e Irlanda che vivono all’estero non hanno potuto esercitare il diritto di voto, al contrario dei loro concittadini europei; il Parlamento ha proposto che coloro che risiedono all’estero possano votare attraverso dispositivi elettronici e che i loghi e i nomi dei partiti europei abbiano una visibilità pari a quella dei partiti nazionali.  I promotori di questa iniziativa hanno anche affrontato il tema delle soglie di sbarramento al quale, secondo loro, l’UE dovrebbe affidarsi per evitare un’ulteriore frammentazione politica. Si parla di soglie che andrebbero dal 3% al 5%, questo avrebbe un maggiore effetto sugli stati più grandi. La mozione è stata approvata con 315 voti favorevoli, 234 contrari e 55 astenuti. I gruppi parlamentari generalmente favorevoli sono stati il Partito Popolare Europeo (PPE) l’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa (ALDE) e il Partito dei Socialisti Europei (PES), mentre ad opporsi sono stati il Partito della Sinistra Europea, il Partito dei Verdi Europei , l’Alleanza dei Conservatori e Riformisti Europei, il gruppo Europa della Libertà e della Democrazia Diretta e il gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà. Ora sta al Consiglio dell’Unione Europea decidere. L’approvazione necessita dell’unanimità e i parlamentari sperano che la riforma venga approvata prima delle prossime elezioni europee che si terranno nel 2019.