Chiara era uscita ma mi aveva lasciato un ricordino. Se fino a quella mattina avevo dei dubbi su quello che mi stava accadendo adesso potevo essere sicuro che non era nulla di buono. I fogli dove fino a pochi secondi prima erano disegnate le bozze adesso erano bianchi. I disegni avevano preso vita e il primo di questi, un energumeno alto quasi due metri, era lì davanti a me. “Ti spacco la faccia!”, disse il disegno usando l’unica frase che gli era stata destinata nella sua storia di provenienza. “Aspetta ascoltami”, cominciai cercando di calmarlo, mettendo le mani avanti, “Ti sembrerà che quello che stiamo vivendo è reale, ma non lo è, almeno non lo è per te, non è questa la tua realtà, tu sei un disegno!”. L’energumeno rimase interdetto per qualche istante, come se ci stesse pensando su, poi prese un ombrello e, brandendolo come arma, ripetè la sua frase di rito “Ti spacco la faccia!”. Mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo, stavo rivivendo una situazione già affrontata in passato e che credevo completamente sepolta. Non trovai di meglio che darmela a gambe uscendo di casa, ma il tizio era deciso a non mollare e si lanciò al mio inseguimento. Vista dal di fuori doveva essere una scena molto comica, io che correvo a perdifiato in mezzo alla strada, con questo tipo che mi inseguiva agitando l’ombrello e urlando ripetutamente “Ti spacco la faccia”. Posso assicurarvi però che vivendola dall’interno non era affatto piacevole né divertente, anzi avevo una bella dose di fifa addosso.
La fortuna, però, mi aiutò anche in quel caso. Correndo incontrai Paolo, l’amico di Gianni che già nella mia precedente avventura mi aveva aiutato, venirmi incontro in motorino. “Fai retromarcia, scappiamo” gridai subito senza dargli spiegazioni. “Fabio…stavo venendo giusto da te”. “Niente spiegazioni, gira questo cazzo di motorino e andiamo”. “Mi spieghi cosa sta succedendo?”, non feci in tempo a rispondere che da dietro l’angolo sbucò il disegno nerboruto fendendo l’aria con l’ombrello. “Ti prego, dimmi che non sta succedendo ancora”, disse Paolo sottovoce. Non dissi nulla. Lo guardai. Il mio sguardo sconfitto e ansioso fu una risposta più che sufficiente.
Salii sul motorino e partimmo velocemente, il mio inseguitore provò ad attaccarsi al motorino con l’ombrello, ma non ci riuscì, perdendo poco a poco terreno.
“Sono ancora i tuoi sogni a prendere vita?” mi chiese Paolo mentre eravamo in movimento, “No, non sogno da due giorni, e credo stia succedendo a varie persone, quello era uno dei disegni di Chiara” spiegai. “Effettivamente anche io non sogno da alcuni giorni” mi confessò pensieroso “cos’altro ha disegnato?”. “Oggetti più che altro, erano solo bozze, però tra questo c’era anche…” non finii la frase, perchè fu Paolo a finirla per me, con voce terrorizzata “…un troll!”. Davanti a noi c’era un gigantesco troll che ringhiava e si dimenava, pronto ad accogliere noi come suo prossimo lauto pasto. Paolo girò appena in tempo e accelerò, mentre il troll si lanciava all’inseguimento. Eravamo in un vicolo e se non altro, se fosse andata male, nessun altro a parte noi sarebbe diventato dieta di quel bestione. “Ci sta raggiungendo, vai più veloce” dissi incominciando a sentire l’alito della bestia sulla mia schiena. Poi ebbi un’intuizione. Avevo una gomma da cancellare nel taschino della camicia. La presi. Dissi tutte le mie preghiere e la scagliai contro il troll. In pochi secondi l’animale esplose in tanti piccoli pezzettini di carta, cancellato per sempre.
Ci fermammo. Dopo essere stati seduti a terra alcuni secondi per riprendere fiato, prendemmo una decisione. Bisognava convocare tutti quelli che avevano già vissuto quest’avventura, capire cosa stava accadendo e, insieme, trovare una via d’uscita. Paolo sarebbe andato a chiamare Gianni, Gennaro e Mago Oreste. Io invece dovevo assolutamente dire tutta la verità a Chiara e accertarmi che non disegnasse per un po’. Giusto il tempo di riprendere fiato.
Ovviamente Chiara non credette nemmeno a una parola. Ripetei tre volte il mio racconto e ciò nonostante non riusciva affatto a capacitarsi delle mie parole. Non sapevo come fare per provarle che era tutto vero, che nel mio passato c’era stato un periodo strambo e che il mio presente forse lo era ancora di più. Poi mi venne un’idea. Cominciai a mostrarle tutti gli oggetti che si erano materializzati dai suoi disegni. “Potresti benissimo averli comprati… che ci vuole a procurarsi alcuni oggetti” fu la risposta. Non faceva una piega. Poi la mia idea divenne ancora più brillante. Pensai che forse anche un disegno appena fatto si sarebbe materializzato, così le dissi “Disegna qualcosa, qualsiasi cosa, anche la prima che ti viene in mente e vedrai”. Era molto scettica ma alla fine si convinse. Guardava il foglio bianco con un’aria a metà tra l’interrogativo e il dubbioso. Poi cominciò a disegnare alcune gocce di pioggia, le quali si trasformarono presto in una simpatica pioggerella estiva. Finito il disegno mi guardò. Le feci cenno di aspettare. Ma non accadde nulla. Le dissi di aspettare ancora. Passarono alcuni secondi. Niente. “Va bene, è stato uno scherzo mal orchestrato ma apprezzo il tentativo” disse con un po’ di superiorità. Poi, all’improvviso, alcune gocce cominciarono a bagnare i fogli. Sentii i miei capelli che inizavano a bagnarsi. Chiara mi guardava con un’espressione attonita mentre sul suo viso scivolavano pigramente alcuni rivoletti d’acqua. “Adesso mi credi?”,domandai mentre cercavo di coprirmi con una felpa, “Andiamo al riparo fuori. Qui dentro piove”. La tirai per una mano e corremmo fuori, mentre il nostro salone sembrava sempre di più la foresta pluviale.
Intanto, Paolo era arrivato in redazione. Entrò chiamando a gran voce Gennaro ma, con sua grande sorpresa, sembrava tutto abbandonato. “Eppure non è ancora pausa pranzo” pensò ma ad alta voce, forse senza accorgersene nemmeno, perchè l’istinto già stava prendendo il sopravvento e gli diceva che qualcosa lì proprio non andava. Dopo poco, trovò una porta semiaperta e si fermò. Ogni film dell’orrore che si rispetti insegna che davanti alle porte socchiuse bisogna sempre tornare indietro. Non c’è mai da fidarsi di uno spiraglio di luce che filtra in un posto completamente deserto. Eppure, proprio come gli sventurati protagonisti di quelle pellicole, c’è sempre qualcosa che ci spinge a dischiudere quelle porte, andando incontro ad un prevedibile destino. Così Paolo spalancò l’uscio e si trovò davanti Gennaro legato e imbavagliato. “Cosa ti è successo?”, chiese mentre si avvicinava per legarlo. Alle sue spalle la porta si richiuse. Paolo si voltò di scatto e vide Cioffa con gli occhi completamente vacui e un rivolo di bava alla bocca. Gli andava incontro lentamente, come una tigre che sta per balzare sulla sua preda. “Non voglio farti del male…nessuno di noi vuole” blaterò Cioffa con voce completamente atona “Vogliamo solo riprenderci quello che ci è stato tolto, avere la nostra possibilità di vivere”. Gennaro chiuse gli occhi per rifugiarsi nel buio. Anche Paolo trovò il buio, ma non volontariamente.