Nel 1995 a Stoccolma si tenne la Conferenza internazionale sui problemi del lavoro. I punti toccati nel dibattito furono molteplici, dalla regolamentazione contrattuale e salariale alle condizioni di lavoro. Un tema scottante – di grande rilevanza oggi come allora – fu quello del lavoro minorile. Non si trattò tuttavia di una delle tante discussioni purtroppo spesso fini a se stesse considerando la valenza giuridico-normativa di un atto come la raccomandazione, poiché il lavoro delle grandi personalità invitate a partecipare alla conferenza fu “scosso” da un particolare discorso.
«Ogni giorno in Pakistan sette milioni di bambini si alzano prima dell’alba, al buio. Lavoreranno fino a sera. Tessono tappeti, cuociono mattoni, zappano nei campi, scendono nei cunicoli delle miniere. Non giocano, non corrono, non gridano. Non ridono mai. Sono schiavi e portano la catena al piede. Fino a quando ci sarà nel mondo un bambino privato della sua infanzia, picchiato, violato, nessuno potrà dire: non mi riguarda. Non è vero: riguarda anche voi. E non è vero che non c’è speranza. Guardate me: io ho avuto speranza. Voi, signori, dovete avere coraggio».
Queste parole fecero ancor più riflettere in quanto pronunciate da un bambino. Il dodicenne pakistano Iqbal Masih, senza dubbio più che precoce dal punto vista morale e intellettuale, iniziò il suo discorso esattamente in questo modo, colpendo nella maniera più diretta possibile le coscienze dei partecipanti alla Conferenza. Chi avrebbe mai immaginato che un bambino di quell’età potesse essere così diretto e fermo nel rivolgere a un’assemblea parole così dense di significato e pesanti proprio come le condizioni di lavoro dei minori pakistani, così drammaticamente serie e risolute?
Quell’invito ad avere il coraggio di affrontare una delle peggiori piaghe di ogni tempo risuona in maniera quanto mai drammatica, soprattutto considerando la storia di Iqbal, la storia di una vita spezzata troppo presto. Proprio in quell’anno, nel giorno di Pasqua, il dodicenne Iqbal venne ucciso dalla “mafia dei tappeti”, assassinato dalla realtà che aveva contributo a denunciare, mostrando un coraggio – purtroppo qui la scelta lessicale è doverosa – senza eguali.
La storia vera di Iqbal Masih, ceduto dalla famiglia a un fabbricante di tappeti per saldare un debito di 12 dollari, ha ispirato il libro di Francesco D’Adamo, “Storia di Iqbal”, di recente ripubblicato in edizione speciale da Einaudi. Il 19 novembre, alla vigilia della Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia e dunque non in un giorno casuale, è arrivata nelle sale la trasposizione cinematografica, il lungometraggio “Iqbal. Bambini senza paura”, di Michel Fuzellier e Babak Payami. “Quando ai bambini in passato si raccontavano le favole con gli orchi lo scopo era dare un avvertimento, mettere in guardia. Nel nostro film l’orco è lo schiavista, colui che fa lavorare Iqbal ai tappeti”, ha dichiarato il regista franco-italiano, che ha deciso di dare al suo racconto (prodotto con il sostegno dell’Unicef) un finale diverso, improntato alla speranza.
Iqbal è un simbolo della lotta allo sfruttamento del lavoro minorile. È divenuto un piccolo eroe desideroso, in nome della giustizia, di lottare per garantire a ogni bambino, in ogni angolo del pianeta, il diritto di giocare, studiare e “non impugnare strumenti da lavoro, ma soltanto penne e matite”.