Anche l’Annuario Statistico dell’Istat – dopo i rapporti Svimez, RES, etc. – segnala un’esigenza: cambiare rotta. Mentre il governo Renzi vive la follia della rendicontazione e della burocrazia, nell’orgasmo da cifre e erotismo da ordine nei conti (forse), dimentica che la politica dell’oggi (che gli piace tanto) ha un riflesso nel domani, nell’immaginario che produce nella società come prospettive di vita, come possibilità e aspettative dei cittadini nei confronti del loro futuro. I segnali sono chiari: una vertiginosa propaganda sulla meritocrazia, una terrificante campagna a favore delle differenze (e quindi discriminazioni) sociali, un interminabile lucrare sulle miserie della gente, umiliati nel loro poter essere componente decisionale nelle proprie vite. Bisogna soltanto che questo immaginario sia comunemente accettato, o comunque sedimentato nelle sue componenti fondamentali – su cui il neoliberismo lavora da anni.
E pare che sia solo una questione di minuti prima che si decreti la fine. Questo è quello che dicono i dati Istat. Sono +27.077 gli alunni rispetto all’anno precedente ad essersi iscritti ai percorsi triennali di istruzione e formazione professionale, un dato figlio della situazione economica delle famiglie, costrette a scegliere un percorso apparentemente più vicino al mondo del lavoro, dall’idea che studiare a lungo non serva a nulla. Tra i diplomati, inoltre, negli istituti tecnici e professionali prosegue gli studi solo, rispettivamente, il 19,9% e il 6,7%.
Nel complesso, l’iscrizione nelle scuole decresce. Stessa cosa succede nelle università, in cui il fenomeno va letto anche nelle differenze tra Nord e Sud: le università settentrionali, infatti, raccolgono quasi il 41% del totale degli iscritti mentre poco meno del 34% sono iscritti negli atenei del Mezzogiorno. Le statistiche sui laureati sono imbarazzanti perché risultiamo il Paese con meno laureati fra i 30 e i 34 anni, con una percentuale del 23,9% contro la media europea del 37,9%: pochi laureati e disoccupazione intellettuale, una situazione paradossale ma che la dice lunga sulla dequalificazione del mercato del lavoro italiano e sulla scarsa propensione agli investimenti e all’innovazione della nostra classe imprenditoriale.
Eppure Renzi commenta su tutto. O così pare. Discute su percentuali, dati e altra roba semi-incomprensibile per mascherare l’inconsistenza e l’asservimento al sistema economico vigente. Stranamente, però, mai commenta la situazione complessiva che dagli stessi numeri e dalle stesse percentuali emerge. Basta leggere tutti i rapporti inviati dagli enti di ricerca. Infatti il premier evidenza con piacere il calo del tasso di disoccupazione (generale e giovanile) e l’aumento dei contratti a tempo indeterminato (+0,3% su ottobre), ma non proferisce parola, invece, sull’aumento su base annua degli inattivi (+138.000), frutto dell’assenza di ricerca di un lavoro (e l’annessa sfiducia nei confronti dell’intero sistema lavorativo), e l’aumento degli indipendenti (dato singolare ma problematico considerando i tanti giovani che di fronte ad una occupazione irregolare, precarietà e discontinuità di reddito, decidono di aprire la partita IVA).
Insomma, la domanda resta sempre la stessa o varia? C’è un limite di sopportazione a cui si sta arrivando, oppure davvero continueremo ad arrovellarci nella falsa illusione e nelle rappresentazioni – maschere – che nascondono la drammatica emarginazione dei ceti sempre più gettati nel degrado e nella mortificazione sociale? Continueremo ad ascoltare numeri e percentuali e rimanerne anche a tratti felicemente soddisfatti, oppure ci guarderemo intorno e ci scontreremo con la realtà dei fatti?
Fatti come un ventisettene ucciso a Forcella. Ucciso dalla camorra. Ucciso, mentre il Governo era impegnato a festeggiare per la differenza di un numero, poco coerente con i fatti. Poiché i fatti sono le famiglie che hanno perso figli, mariti in questi mesi. Sono le continue sparatorie in pieno giorno. Non le chiacchiere assordanti su numeri, percentuali, dati e rapporti di enti, associazioni, istituzioni. I documenti dovrebbero essere il punto da cui ripartire, non l’esame da superare a fine anno per raccontare che ci si sta risollevando con uno +0,3. Perché un paese che si rialza sul sangue ignorato, calpestando la dignità di chi vive condizioni di disagio, dimenticandone la memoria, è un paese che sul quel sangue, su quella dignità, su quella memoria, scivolerà, prima di cadere nel baratro. E nessuno avrà il coraggio di dire più niente.