di Mattia Papa
Ci siamo? Dopo anni, qualcosa si muove? Forse. Con la nuova presentazione, dagli atenei italiani, dei prodotti della ricerca scientifica all’ANVUR (sistema assurdo secondo cui la conoscenza è un qualcosa che equivale più o meno alla produttività di un’azienda, basato su differenze di qualità – quale qualità? – e prive di una fondamentale idea di sviluppo e progresso per un miglioramento delle vite degli individui) il dibattito sulle rovine del mondo universitario, del senso delle accademie, della ricerca, etc., si è riacceso e brucia nel pieno petto delle ‘categorie’ più sfruttate dall’università: gli studenti e i ricercatori.
Se infatti gli iscritti all’università vivono una riproduzione delle dinamiche sociali all’interno dell’università e si formano quindi nel clima della competizione e della guerra uno-contro-uno priva di un reale senso, i ricercatori a loro volta vedono umiliato il senso del loro lavoro quando – per fare un esempio su tutti – il sottosegretario dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, afferma che “la ricerca non è un vero lavoro”.
La lista è lunga. Sentirsi valutati sulla quantità di pagine si è scritto, comparazioni qualitative su quanto appeal la propria ricerca ha, da quante persone hanno citato il proprio lavoro in altre monografie e testi valutati a loro volta: insomma una vera e propria estetizzazione della conoscenza, una licealizzazione del sapere, un’idea di società totalmente priva di fondamento. Ed ecco che l’uroboro dell’eterno ritorno nietzschiano viene beceramente sostituito dal cane che si morde la coda.
C’è poi da aggiungere il dato più preoccupante ossia la desertificazione dell’Università, che assume le dimensioni di un crollo al Sud: nel 2012 -16% rispetto al 2000-2001 in Sicilia, -19,8% in Calabria, -21,9 in Sardegna.
Con gli atenei che man mano si svuotano e vedono un calo di iscritti, sia per l’attrattiva dell’istruzione dell’universitaria che cala clamorosamente nel buio accompagnata da fischi, sia (e soprattutto) per un disastro economico che rende inaccessibile la formazione ad ampia parte della società. E chi può spesso non vi scorge il senso di un’ulteriore formazione. Chi abbandona, chi cambia disciplina un numero indefinito di volte. Il risultato? Il 23,9% di laureati (tra i 20 e 34 anni) con un tasso di inoccupati (nella stessa fascia d’età) di circa 180.000 ragazzi (a scapito del +0,3% di contratti a tempo indeterminato che piace sventolare a Poletti per motivare la riforma che ha cancellato il Diritto del Lavoro).
È per questo che alcuni docenti e ricercatori (Piero Bevilacqua de La Sapienza di Roma, Ugo M. Olivieri, Alessandro Arienzo, Armando Carravetta, Bruno Catalanotti della Federico II di Napoli) hanno incalzato e convocato una giornata di discussione per il diritto allo studio e la ricerca a cui parteciperà il Rettore Gaetano Manfredi in veste anche di Presidente della CRUI, il Presidente del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari e diverse realtà di rappresentanza del mondo studentesco e della ricerca.
Il momento è decisivo: la CRUI che chiede una proroga per la consegna dei prodotti della ricerca al Ministero è, apparentemente, un segnale di conflittualità interno. Certo, facile immaginare che ci siano stati accordi pregressi, poiché l’unica cosa che altrimenti è possibile se il ministero si rifiutasse di prolungare le tempistiche per la presentazione dei prodotti della ricerca scientifica dopo una richiesta ufficiale dei rettori, è la chiusura degli atenei da parte degli stessi rettori.
Esagerazioni? Vane speranze? È sicuramente così. E però finalmente emerge una qualche forma di contraddizione, diventa palese e si concretizza dinanzi agli occhi di tutti. Si riparte dal Sud, l’11 febbraio. Il futuro è ancora sconosciuto. Anzi, meglio, ancora da scrivere.