di Marco Passero
«L’umanità ha il dovere di dare al fanciullo
il meglio di se stessa»
(Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, Ginevra 20/11/1959)
Nell’immaginario collettivo un bambino è quanto di più puro possa esistere. Chiunque sarebbe pronto a ribadirlo, ad ammettere che si è maggiormente pronti a intervenire in una situazione di emergenza quando è un bambino ad aver bisogno di aiuto. L’infanzia è una stagione unica e irripetibile, nella quale i bambini vanno seguiti e istruiti, donando loro tempo per l’apprendimento e per il gioco. Eppure in molti angoli del pianeta – non troppo lontani da quell’Occidente che si autoproclama “Nord del mondo”, civilizzato e democratico – i diritti di bambini di ogni età vengono calpestati, le loro ali tarpate con una violenza ben più vigorosa delle loro flebili grida d’aiuto. Cinquantasette anni fa l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo e, se si richiedevano urgenti interventi già allora, oggi non è più possibile fingersi sordi dinanzi alle richiesti di soccorso, o ciechi davanti a sfruttamenti di ogni tipo che riguardano realtà non così circoscritte.
Certamente interventi e appelli di ONG che si scagliano contro lo sfruttamento minorile non mancano, e da qui bisogna partire. Contro la piaga della pedofilia, ad esempio, Save the Children chiede subito un piano nazionale per contrastare la prostituzione minorile; la questione riguarda anche l’Italia, soprattutto all’indomani dell’allarme lanciato dalla Procura Generale della Corte di Appello di Roma in occasione dell’anno giudiziario sull’aumento di tutti i reati che vedono i minori protagonisti-vittime. Tra il 2013 e il 2015, segnala la Procura, il numero dei reati di adescamento nei confronti di minori è passato da 28 casi a 114. “Attendiamo ormai da troppo tempo che venga varato un Piano nazionale anti tratta ed è necessario che venga fatto subito, tenendo conto della necessità di inserirvi specifici interventi dedicati alla prevenzione e al contrasto della prostituzione minorile su tutto il territorio nazionale, affiancando all’azione repressiva una azione sistematica di tipo educativo e sociale, con particolare riferimento anche all’uso delle tecnologie digitali”, ha ribadito Raffaela Milano, direttore programmi Italia-Europa per Save the Children.
Contemporaneamente SOS Villaggi dei Bambini continua a sostenere i minori privi di cure e le famiglie in difficoltà, soprattutto in contesti di guerra. In molte realtà africane o del Medio e Vicino Oriente, tra il dramma di conflitti ambientali e la recrudescenza di guerre intestine fratricide, emerge un altro contesto tragicamente adatto a trasformare l’infanzia di bambini innocenti in un incubo. L’ONU stima che circa 7,6 milioni di bambini in Siria abbiano bisogno di assistenza umanitaria immediata, che più di 2 milioni di giovani non stiano andando a scuola e che siano decine di migliaia i bambini non accompagnati. Circa sedicimila bambini sud sudanesi, che nel mezzo dei conflitti a fuoco hanno sognato a lungo di tornare sui banchi di scuola circondati dalla sicurezza di una vita normale, hanno invece visto amici morire, costretti a stare lunghi periodi senza cibo, lontani dalle loro famiglie. “Ci hanno detto – ha raccontato un bambino di 15 anni arruolato – che se non ci fossimo uniti all’esercito ci avrebbero picchiato”. “Abbiamo sconfitto e ucciso un sacco di gente – gli fa eco un altro ragazzo di 15 anni che ha combattuto nelle forze d’opposizione – Avevamo paura ma abbiamo dovuto farlo comunque”. Secondo le leggi internazionali riconosciute anche dal Sud Sudan, reclutare ragazzi al di sotto dei 15 anni è un grave crimine di guerra. Ed è vietato in ogni caso reclutare giovani al di sotto dei 18 anni. Leggi approvate e tutelate sulla carta dal più giovane Stato del mondo, ma a oggi nessun comandante sud sudanese è stato mai processato per aver usato bambini soldato. Eppure i nomi ci sono e sono noti anche alle autorità. Come il comandante dell’SPLA Matthew Puljang, che ha combattuto nello Stato di Unity, o Johnson Olony, che ha combattuto sia con il governo che con l’opposizione nell’Alto Nilo. O casi eclatanti come quello del comandante David Yau Yau che durante la rivolta nel governatorato di Jonglei aveva nelle sue fila circa 1700 bambini soldato. “È stato perso molto terreno – sottolinea Daniel Bekele, direttore di Human Rights Watch Africa – nella lotta alla protezione dei minori poiché ancora nessuno paga per questo reato”.
Quando invece gli orrori riguardanti i bambini diventano anche una questione di genere, ecco che emerge la mostruosa pratica delle mutilazioni genitali femminili. Secondo un recente rapporto dell’UNICEF, pubblicato in occasione della Giornata ONU di Tolleranza Zero verso le Mutilazioni Genitali Femminili (FGM per l’acronimo inglese), sono almeno 200 milioni le donne e bambine che, in 30 Stati di Asia e Africa, hanno subito mutilazioni genitali. Il rapporto, intitolato “Female Genital Mutilation/Cutting: A Global Concern”, evidenzia che metà delle bambine e delle donne che hanno subito tale pratica vivono in 3 soli paesi: Egitto, Etiopia e Indonesia. Secondo i dati tra le vittime delle mutilazioni si contano circa 44 milioni di bambine e adolescenti con meno di 14 anni. La buona notizia è che la mobilitazione sociale contro le mutilazioni genitali femminili sta crescendo. I tassi di prevalenza delle MGF fra le adolescenti (15-19 anni) sono in calo rispetto a 30 anni fa, gli effetti di una ribellione che dovrebbe essere quasi umanamente spontanea si percepiscono, sebbene la strada sia ancora quanto mai impervia: si pensi al fatto che l’attuale tasso di abbandono delle mutilazioni genitali non è così elevato da controbilanciare la crescita della popolazione, malgrado la crescente disapprovazione sociale nei confronti di tali pratiche e il divieto – pubblicamente sancito – delle MGF da parte di oltre ventimila comunità nel 2015.
Questo elenco è chiaramente esemplificativo e non può che essere incompleto. Si pensi anche ai lavori nelle miniere d’oro utilizzando cianuro e mercurio per le estrazioni, ai giacimenti petroliferi o alle vasche per l’acquacoltura con esposizione a sostanze dannose per la salute umana: le forme di sfruttamento minorile sono molteplici, il dibattito si arricchisce di dati nel quotidiano e ogni piccolo miglioramento deve stimolare ulteriori interventi nella lunga via verso la salvezza della magica stagione dell’infanzia.