Home » Cinema, News, Spettacolo » “Lo chiamavano Jeeg Robot”, il ritorno trionfale del cinema di genere italiano

“Lo chiamavano Jeeg Robot”, il ritorno trionfale del cinema di genere italiano

la-locandina-di-lo-chiamavano-jeeg-robotdi Marco Chiappetta

TRAMA: Per sfuggire alla polizia Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria), delinquentello di Tor Bella Monaca, si getta nel Tevere ed entra in contatto con dei barili di sostanze radioattive. Improvvisamente inizia a manifestare una resistenza e poteri sovrumani, e se ne serve dapprima per fini egoisti e criminali, poi per fronteggiare “lo Zingaro” (Luca Marinelli), spietato e folle capo di una gang in combutta con la camorra, e proteggere la fragile e instabile Alessia (Ilenia Pastorelli), appassionata di Jeeg Robot e convinta che lui sia proprio l’eroe dei cartoni animati, venuto per salvarla. Sarà piuttosto lei a salvare lui, scoprendovi una sensibilità e un’umanità che teneva nascoste.

GIUDIZIO: Cocktail perfetto di gangster-movie e film supereroistico, commedia e love story, satira e parodia, con un occhio che strizza alla società contemporanea e l’altro che guarda all’universo pulp dei fumetti e di certo cinema (B movies e Tarantino in primis), l’esordio del romano Gabriele Mainetti (1976), già rodato con vari cortometraggi pluripremiati nel mondo, è un’opera pop frizzante e originalissima, ricca di un’energia cinematografica, di un’inventiva, di un’ironia e di un senso dello spettacolo impressionanti, non solo per un esordiente ma soprattutto per il cinema nazionale solitamente stantio e timoroso della creatività. Scritto benissimo da Nicola Guaglianone e Menotti, con un’attenzione particolare al tratteggiamento psicologico (visibile nelle manie e abitudini dei protagonisti: i budini alla vaniglia e i dvd porno di Enzo, il detergente delle mani dello Zingaro, i cartoni di Jeeg Robot di Alessia) e a uno sviluppo narrativo liscio e fluido, è un piccolo grande film, divertente, intelligente, spesso e volentieri geniale, in una parola sorprendente. L’uso della musica pop, festoso e ironico, e gli effetti speciali, straordinariamente credibili e raffinati per un film dichiaratamente low budget, ma anche e soprattutto la direzione degli interpreti – un Santamaria abilmente sotto le righe contro un esagitato e sempre più bravo Marinelli (eccelso anche a cantare), e nel mezzo la rivelazione Ilenia Pastorelli, fragile e dolcissima – premiano un film unico e nuovissimo, brillante esempio di cinema di genere come non se ne faceva da tanto tempo in Italia e che non ha nulla da invidiare ai triti e ripetitivi blockbuster americani, di cui è una sapida, sagace, irresistibile, rispettosa e scanzonata parodia. Umorismo nerissimo, poesia delicata, spettacolo maestoso, visione realista e critica della nostra società (il terrorismo, la mafia, l’ossessione per la televisione e la fama, il web virale, la solitudine delle periferie), si uniscono insieme in un film che ha respiro, tensione e magnetismo, nonché uno stile visivo impregnato di cinema purissimo, vedasi il prologo (muto) e l’epilogo, magnifici voli sui tetti di Roma, e un modo di usare la steadicam così funzionale alla storia che quasi non si nota. Se i tre protagonisti sono vittime più che spettatori dello schermo, rispettivamente quello di un porno, di YouTube o di un vecchio cartone giapponese, come per fuggire dalla solitudine o per plasmarla, inevitabile che anche lo spettatore venga risucchiato dalla logica cinematica delle immagini, bombardato, divertito, emozionato, meravigliato. È un film che va sostenuto, diffuso, seguito, con il prezzo del biglietto e il passaparola, perché non resti un figlio unico ma il padre di un nuovo cinema italiano.

VOTO: 3,5/5