di Marco Passero
In Italia si parla ormai da diverso tempo del referendum sulle trivellazioni, che si terrà il prossimo 17 aprile. L’iniziativa è stata promossa dal coordinamento No Triv, da diversi movimenti e associazioni ambientaliste e da nove consigli regionali. Cosa prevede il referendum?
“Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”: è questo il quesito referendario che viene posto agli italiani, nella solita forma abrogativa. Sono dunque prese in considerazione soltanto le trivellazioni in atto entro le dodici miglia dalla costa (acque territoriali secondo il diritto internazionale, Convezione di Montego Bay, 1982), e non le attività petrolifere che si svolgono in punti più distanti (a partire cioè dalla cosiddetta Zona contigua) né quelle sulle terraferma. Le principali società coinvolte sono Eni, soprattutto lungo la costa adriatica, Shell e la britannica Northern Petroleum tra il Mar Ionio e il Canale di Sicilia.
I problemi principali sono rappresentati dal fatto che non tutti i canali di informazione approfondiscono la questione dedicandole lo spazio opportuno e che si è deciso di non abbinare il referendum alle prossime elezioni amministrative, evitando di far convogliare i due eventi in un unico election day. Ricordiamo che in base a quanto previsto dall’articolo 75 della costituzione italiana è richiesto il raggiungimento del quorum del 50% degli aventi diritto.
Una vittoria del sì comporterebbe l’abrogazione dell’articolo 6 comma 17 del codice dell’ambiente, il quale prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente.
Per riaffermare le ragioni dell’ambiente e della democrazia ogni italiano dovrebbe sentirsi chiamato in causa, difendendo innanzitutto il proprio diritto di scegliere. Nelle diverse campagne No Triv, poi, associazioni ambientaliste come Green Peace sottolineano la straordinaria importanza del sì per scongiurare il rischio di una possibile perdita di petrolio, potenzialmente devastante in un mare chiuso come il Mediterraneo, per non mettere in pericolo le coste, la fauna, il turismo e la pesca sostenibile, per evitare rischi idrogeologici e, in generale, per non compromettere l’equilibrio dell’ecosistema terra-mare.
In un accorato appello firmato da personalità come Dario Fo e Dacia Maraini si invita a votare sì definendo le trivelle come “il simbolo economico del petrolio: vecchia energia fossile causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti, protagonismo delle grandi lobby”.
La questione, infine, è diventata anche “politica”: il Movimento 5 Stelle è in prima linea per la diffusione di informazioni sul referendum, sulle trivelle e sull’importanza di un sì ritenuto fondamentale. La Cgil nazionale e il comitato “Ottimisti e razionali” guidato dall’ex deputato PC e poi Pds Borghini, invece, sostengono le ragioni del No parlando soprattutto di investimenti e posti di lavoro.
In attesa del 17 aprile la speranza è che il quorum venga raggiunto attraverso una partecipazione in massa e che i cittadini dimostrino attivamente di voler far trionfare, in concreto, le ragioni della democrazia e del senso civico.