di Marco Passero
Una delle politiche esterne dell’Unione Europea è la Politica europea di vicinato (PEV). Impostata prevalentemente come una politica bilaterale tra l’UE e ciascun paese partner e indirizzata ai paesi limitrofi aventi una specifica posizione geografica – collocati cioè verso Est e verso Sud rispetto al territorio dell’Unione – essa mira a rafforzare la stabilità, la sicurezza e il benessere in quest’area, consolidando i rapporti con tali paesi dal punto di vista economico, politico, strategico, culturale.
I paesi coinvolti sono quelli dell’Africa bianca (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto), Israele, i territori palestinesi occupati, Giordania, Libano e Siria per quanto riguarda l’area mediterranea, e Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Georgia, Armenia ed Azerbaigian tra Europa Orientale e Caucaso. Le relazioni con altri paesi sono disciplinate da accordi diversi, per cui non sono coinvolti nella PEV i paesi facenti parte dell’Associazione europea di libero scambio, né i paesi candidati all’adesione all’Unione.
Il punto di partenza dell’iter che ha dato vita a una politica europea di vicinato va individuato nel processo di Barcellona, il partenariato euro-mediterraneo che nel 1995 istituì un quadro stabile di relazioni tra l’UE e tutti gli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo, con l’eccezione della Libia. Procedendo molto lentamente e con risultati considerati da più parti insoddisfacenti, si è giunti al 2003, anno in cui è stata delineata la PEV in concomitanza con la preparazione dell’allargamento dell’Unione verso sud e verso est avvenuto l’anno successivo. Da allora la politica europea di vicinato si fonda sui valori della democrazia, dello Stato di diritto, del rispetto dei diritti umani, del buon governo, e ovviamente il livello di ambizione della relazione dipende dalla misura in cui tali valori sono condivisi. Anche economia di mercato e integrazione economica sono temi che ricoprono un ruolo centrale nella PEV, soprattutto per garantire maggiore mobilità e contatti più stretti tra i popoli: l’UE offre infatti una partecipazione al suo mercato interno, assistenza finanziaria e tecnica, collegamenti infrastrutturali con i paesi dell’Unione nel settore dei trasporti, dell’energia e delle telecomunicazioni e, in generale, relazioni commerciali preferenziali. In caso di gravi disavanzi nella bilancia dei pagamenti i paesi PEV possono ricevere anche assistenza macrofinanziaria.
La PEV costituisce senza dubbio una partnership strategica basata su uno scambio reciproco che consente alla Commissione europea di approfondire la propria conoscenza della situazione dei paesi partner e a questi ultimi di familiarizzare con gli sviluppi interni all’Unione. I piani d’azione, veri e propri documenti politici, delineano gli obiettivi strategici della cooperazione tra l’UE e i singoli paesi limitrofi.
Nel complesso delle azioni di politica estera dell’UE, spesso etichettate come fallimentari (con poche eccezioni in tal senso), la PEV può essere uno strumento fondamentale. Le primavere arabe che hanno interessato i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente a partire dai primi mesi del 2011, ad esempio, non sono state trascurate e, proprio considerando tali avvenimenti, l’UE ha rivisto la sua politica incentrandola sulla promozione di una democrazia consolidata e sostenibile, comprendente elezioni libere ed eque, lotta alla corruzione, indipendenza della magistratura, libertà di espressione e di associazione. La speranza, sulla base del principio “more for more” che promette rafforzamento del partenariato e maggiori aiuti di fronte a maggiore impegno, è che siano sempre più numerosi i paesi capaci di far registrare progressi nel cammino verso le riforme democratiche.