di Mattia Papa
“Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato”. Così scriveva Jacques Prévert in un verso della sua celebre ‘Questo amore’. Ad ascoltare il dibattito sulle questioni ambientali, il verso del poeta francese fa tremare per quanto vicino sia il disinteresse e la mortificazione che non riusciamo più a non avere nei confronti dei nostri territori. Non sono bastate manifestazioni, marce e conferenze sul clima, appelli di intellettuali e scienziati. Il nostro pianeta sta morendo, sotto i colpi inconsulti degli interessi economici più sfrenati.
Il 17 aprile si terrà un referendum popolare abrogativo della norma che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo.
In particolare il testo del quesito è il seguente: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?”.
Ad oggi le normative vigenti prevedono già il divieto di ricerca di idrocarburi (petrolio e gas metano) entro le 12 miglia marine (circa 2km) dalle coste. Tuttavia le piattaforme estrattive già presenti possiedono delle concessioni che, in base alla Legge di Stabilità 2016, hanno durata pari alla “vita utile del giacimento”.
Con il quesito del referendum si vogliono sospendere queste concessioni rispettando la scadenza dei contratti correntemente in vigore (si tratta di 21 impianti, localizzati nel mare Adriatico, nel Golfo di Taranto e nel Canale di Sicilia, con i contratti in scadenza dal 2017 al 2027), cessando definitivamente tutte le attività di estrazione entro le 12 miglia dalla costa Italiana.
Il referendum è quindi limitato soltanto alle estrazioni così dette offshore (in mare), e riguardano soltanto l’attività di estrazione e non di trivellazione (già vietata entro le 12 miglia).
La riduzione delle produzioni di gas e petrolio sarà inoltre graduale, fino alla fine delle concessioni: se l’esito del referendum sarà positivo, non si perderanno quindi dall’oggi al domani il 60-70% delle produzioni (come annunciato da alcuni, tra cui lo stesso premier Renzi), non vi sarà una crisi energetica, né ci sarà un colpo decisivo di licenziamenti.
Come scrive il network Studenti per l’ambiente nel documento di avvicinamento al referendum, questa è una “battaglia di democrazia”, a differenza di quanto dichiara il Pd, che mai si era spinto in maniera così evidente a mostrare il suo carattere reazionario in pubblico, annunciando senza scuse né reali contro risposte l’appoggio al No per il referendum del prossimo 17 aprile.
Gli attuali sviluppi della ricerca in tema di energie rinnovabile ed ecosostenibili sono ferme nel nostro paese dagli anni ’70. Nelle università, come nel Dipartimento di Ingegneria della Federico II di Napoli, ancora si insegna – ad esempio – a costruire inceneritori come unica metodologia di smaltimento dei rifiuti. Non esistono attenuanti rispetto al nostro impegno nella formazione e sviluppo di competenze che permettano un netto cambio di rotta nel Paese rispetto alle politiche ambientali, e non solo. Dovrebbe esserci un interesse reale nel cambiare le cose. Dovrebbe.