di Marco Passero
Con 361 voti favorevoli e 7 contrari la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge Boschi sulla riforma della costituzione. Tale riforma costituzionale – approvata senza i deputati dell’opposizione che non hanno partecipato al voto – riguarda il Senato della Repubblica, il Presidente della Repubblica, il Consiglio Nazionale per l’economia e il lavoro, il Titolo V della costituzione e referendum abrogativo e iniziativa legislativa popolare.
La riforma si propone di superare il bicameralismo perfetto in base al quale, attualmente, tutte le leggi ordinarie e costituzionali devono essere approvate da entrambe le camere, e un governo appena formato deve ottenere la fiducia sia dai deputati che dai senatori. Con la riforma sarà la Camera dei deputati l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto e l’unica aula che dovrà approvare le leggi ordinarie e di bilancio e concedere la fiducia all’esecutivo; il Senato, invece, si chiamerà “Senato delle regioni” con la principale funzione di garantire un raccordo tra Stato, regioni e comuni, e diventerà un organo rappresentativo delle autonomie regionali. Potrà esprimere pareri sui progetti di legge approvati dalla camera e proporre eventualmente modifiche, ma la Camera potrà anche non accogliere gli emendamenti. I 100 senatori (non più 315) non saranno eletti direttamente dai cittadini: 95 di loro saranno eletti dai consigli regionali che, con metodo proporzionale, nomineranno 21 sindaci (uno per regione, due per il Trentino Alto-Adige) e 74 consiglieri regionali (minimo due per regione in proporzione alla popolazione e ai voti ottenuti dai partiti). A questi, in carica per la durata del loro mandato di amministratori locali, si aggiungeranno 5 senatori nominati dal Capo dello Stato che resteranno in carica per sette anni. I senatori percepiranno solo lo stipendio da amministratori, e non ci sarà più la nomina a senatore a vita che resta valida solo per gli ex presidenti della Repubblica.
All’elezione del Presidente della Repubblica non parteciperanno più i delegati regionali, ma solo le camere in seduta comune. La maggioranza richiesta sarà dei due terzi fino al quarto scrutinio, poi basteranno i tre quinti, dall’eventuale nono scrutinio basterà la maggioranza assoluta.
Il CNEL, organo ausiliario previsto dalla Costituzione in funzione consultiva riguardo alle leggi sull’economia e il lavoro, attualmente composto da 64 consiglieri e con la facoltà di proporre alla camere leggi in materia economica (poiché la Costituzione gli conferisce l’iniziativa legislativa), verrà completamente soppresso.
Il Titolo V dell’ordinamento della Repubblica, riformato con legge costituzionale 3/2001 per il riparto delle funzioni legislative, regolamentari e amministrative tra Stato e regioni, vedrà una ventina di materie tornare alla competenza esclusiva dello Stato, tra cui ambiente, trasporti, produzione e distribuzione dell’energia, occupazione e sicurezza sul lavoro.
Per quanto riguardo, infine, alcuni strumenti di democrazia diretta, il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo resterà sempre del 50% ma, se a proporre la consultazione saranno ottocentomila cittadini e non cinquecentomila, il quorum sarà ridotto e sarà sufficiente il 50% dei votanti all’ultima tornata elettorale, non il 50% degli aventi diritto. Per una legge di iniziativa popolare non basteranno più cinquantamila firme, ne occorreranno centocinquantamila.
Sono questi i punti salienti del ddl Boschi. Il prossimo step, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, sarà il referendum confermativo con la consultazione che si terrà nel mese di ottobre. Il premier Matteo Renzi, che vorrebbe che la riforma fosse legittimata da un largo consenso popolare in quanto è uno dei pilastri del suo programma politico, ha dichiarato che in caso di sconfitta nel referendum abbandonerebbe il proscenio della politica italiana.