di Marco Passero
Situata circa 100 km a nord di Kiev, nell’Ucraina settentrionale, Chernobyl è stata un importante centro industriale e commerciale, soprattutto nel XIX secolo. Ma il nome della città è principalmente legato a un incidente in una centrale nucleare, il più grave incidente nucleare della storia.
Esattamente trent’anni fa, il 26 aprile 1986, nel corso di un test ci furono delle esplosioni e un incendio nel reattore n°4 della centrale (le barre di uranio si surriscaldarono a causa di un guasto al sistema di raffreddamento), con la fuoriuscita di una nube di materiale radioattivo che si riversò su vaste aree intorno all’impianto, contaminandole pesantemente e rendendo necessaria l’evacuazione di oltre trecentomila persone. Le indagini effettuate a posteriori inducono a parlare di gravi errori del personale cui si sommarono gli errori di progettazione compiuti molti anni prima nella costruzione del reattore. L’Europa orientale fu raggiunta da nubi radioattive, così come i paesi scandinavi e, con livelli di contaminazione via via minori, anche Germania, Francia, Svizzera, Austria, Italia e Balcani furono toccati.
Nella zona, ex territorio dell’Unione Sovietica oggi al confine tra Ucraina e Bielorussia, le autorità affermano che oggi sia possibile una vita normale, ma dopo trent’anni gli effetti di una tragedia di tale portata continuano a pesare sulla popolazione. Attualmente Chernobyl è una città fantasma, quasi completamente disabitata, con un livello di radioattività ancora altissimo. Nel 1986 a Chernobyl risiedevano tredicimila persone, nel 2016 si registra la presenza di non più di settecento persone, per lo più anziani che hanno scelto di restare nelle loro case, incuranti del pericolo. Le due esplosioni della notte del 1986 ebbero un effetto cento volte superiore a quello di Hiroshima e Nagasaki in termini di contaminazioni ambientali: particelle radioattive possono essere rilevate ancora oggi con un contatore Geiger. Tristemente nota è la categoria dei “liquidatori”, vigili del fuoco, medici e militari che intervennero soprattutto nei quindici giorni successivi al dichiarato stato di emergenza: la maggior parte di essi – circa seicentomila unità – morì a causa di leucemia e varie tipologie di cancro, con sintomi comuni tra cui desquamazione della pelle.
Oggi le immagini di Chernobyl sono quelle della desolazione. La natura e gli animali, tuttavia, evidentemente molto più resilienti della specie umana, si stanno faticosamente riprendendo la città abbandonata. Come ben documentato dalla rivista Current Biology uno studio dimostra il ripopolamento in atto con la presenza di animali selvatici tra cui lupi, alci e cinghiali che trovano riparo tra le rovine della città e del verde.