di Marco Passero
Con l’elezione di Barack Obama, il 4 novembre 2008, gli Stati Uniti hanno dimostrato di avvertire la necessità di un profondo cambiamento. Sin dalle prime battute della campagna elettorale Obama mostrò infatti di voler marcare una netta discontinuità rispetto all’amministrazione Bush, superando soprattutto quel marcato unilateralismo che aveva leso i rapporti con molti alleati e istituzioni. Ora che si è giunti quasi al termine del secondo mandato, con le elezioni del prossimo novembre ormai dietro l’angolo, è tempo di bilanci. Analisi di ogni tempo cominciano a susseguirsi e potrebbe essere interessante soffermarsi sul punto di vista di una macroarea da sempre in qualche modo legata ai destini a stelle e strisce, quella europea. Quali aspetti della dottrina Obama hanno riguardato l’Europa più da vicino? Dinanzi a quali scelte statunitensi gli europei hanno espresso consenso o viceversa hanno dissentito?
In via del tutto preliminare va sottolineato che parlare di Obama doctrine potrebbe sembrare una forzatura in quanto Obama non è un teorico, non è un’economista e non ha formulato una sua teoria. Tuttavia, quando parliamo del mestiere del policy maker, o addirittura quando si ricopre il ruolo di presidente americano, è possibile individuare una serie di elementi ricorrenti capaci di costituire il filo conduttore delle scelte politiche.
Un primo dato è senz’altro economico. Più volte, a partire dal G20 di Pittsburgh dell’autunno 2009, Obama ha ammesso le responsabilità primarie degli USA nello scoppio della crisi economica, enfatizzando però la necessità di agire da più parti per ripristinare gli equilibri di un sistema economico fondamentalmente chiuso. C’è dunque un appello non troppo velato all’eurozona a cambiare marcia, invertendo una tendenza pluridecennale: a differenza degli Stati Uniti, tanti paesi come la Cina ma soprattutto la Germania hanno vissuto al di sotto dei propri standard esportando più di quanto importassero. I tedeschi si mostrano tuttavia sordi dinanzi a tali appelli e non hanno intenzione di invertire questo trend per ricoprire lo scomodo ruolo di locomotiva mondiale.
Sul fronte più prettamente politico Obama è stato duramente criticato dall’Europa per la sua gestione delle primavere arabe. Non interventista, Obama decise invece di inserirsi in Libia, dove è accusato di aver trasformato una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che mirava a tutelare la popolazione civile introducendo una no-fly zone in un mandato per rovesciare il regime senza avere un valido progetto di nation building, e in Egitto, dove è considerato responsabile dell’ennesimo scossone politico in quanto i soldati dell’esercito che hanno deposto il leader dei fratelli musulmani Morsi dipendono da ingenti aiuti americani che ricevono ogni anno e che Obama avrebbe potuto usare come deterrente. In Siria invece il presidente americano aveva introdotto una “sottile linea rossa” legata all’utilizzo di armi chimiche sulla popolazione civile da parte di Assad, sorpassata la quale nell’agosto 2013 Obama decise poi di fare un passo indietro; questa scelta mise in gioco la credibilità statunitense agli occhi del mondo e ferventi intervisti europei come Hollande si dichiararono fortemente colpiti in negativo da questa scelta.
Gli europei, che in generale avevano accolto con entusiasmo l’elezione di Obama salutandola come l’avvento di un leader in grado finalmente di ottenere il rispetto e l’ammirazione di tutto il mondo libero, non hanno mascherato la propria delusione su tre specifiche questioni. Innanzitutto la prigione di Guantanamo non è stata chiusa, malgrado le promesse di Obama che ha poi dovuto scontrarsi con un Congresso a maggioranza repubblicana ed è riuscito soltanto a ridurre il numero dei prigionieri di circa il 30%; sono poi proseguite le missioni dei droni, spesso colpevoli di errori di valutazione creando danni inquantificabili in zone più civili che militari; infine non è stato fatto alcun passo avanti per la soluzione della questione palestinese.
In ogni caso gli europei sembrano essere fermamente convinti che il presidente americano condivida gli stessi principi e valori che risiedono nel cuore dell’integrazione europea. Questa fondamentale convergenza costituisce una solida base per lo sviluppo di un approccio USA-UE comune, volto a costruire una gestione multilaterale di un contesto di relazioni internazionali sempre più multipolare, multicentrico e globalizzato.