di Marco Passero
Il Venezuela versa in condizioni drammatiche. La crisi energetica ha colpito duramente il paese con l’inflazione più alta al mondo, con una grave carenza di beni di prima necessità come cibo e farmaci e un tasso di omicidi che non accenna a diminuire. I blackout elettrici si aggiungono dunque a problemi estremamente seri che gli oltre trenta milioni di venezuelani devono affrontare ogni giorno.
Secondo i funzionari del governo la colpa della crisi energetica è della siccità causata dal fenomeno climatico conosciuto come “Niño”, che periodicamente riscalda in maniera anomala le acque oceaniche. Ma già nel 2003 il paese era stato colpito da una siccità tale da far scendere il livello dell’acqua della diga di Guri a 245 metri, livello critico vicino a quello di oggi, e all’epoca la fornitura elettrica non fu sospesa.
Il problema, secondo ingegneri esperti come Miguel Lara, è che le principali centrali termoelettriche del paese sono state mal gestite e gli interventi di manutenzione sono stati rimandati troppo a lungo. L’inefficienza non sarebbe quindi dovuta a fenomeni climatici ma a un uso inadeguato delle risorse e alla burocrazia eccessiva.
Il governo ha preso misure drastiche, con il presidente Maduro che ha annunciato da circa un mese che i quasi tre milioni di dipendenti pubblici lavoreranno solo due giorni alla settimana, per risparmiare energia. Per quanto riguarda i blackout, il 63% del consumo di elettricità in Venezuela è domestico, per cui nei dieci stati più popolosi del paese ci saranno continue interruzioni di corrente, quattro ore al giorno per quaranta giorni, con orari variabili. “Senza luce non funzionano neanche le pompe d’acqua”, lamentano i cittadini, e addirittura molti genitori non hanno la possibilità di portare i figli a scuola quando l’elettricità manca proprio nelle ore mattutine.
La crisi energetica è scoppiata mentre l’opposizione, che dalla fine del dicembre 2015 ha la maggioranza in parlamento, stava raccogliendo le firme per un referendum previsto dalla costituzione che chiede la revoca del mandato presidenziale di Maduro: quasi due milioni di firme sono state raccolte e presentate al Cne, il Consiglio nazionale elettorale, il quale dovrà verificare l’identità dei firmatari. Il Consiglio è ritenuto comunque vicino al governo. Se tuttavia tutto sarà regolare, altri quattro milioni di cittadini dovranno firmare una seconda petizione per indire il referendum.
Maduro ha intanto promesso un aumento dei salari minimi pari al 30%, ma difficilmente un popolo stremato darà fiducia all’ennesima promessa.