di Marco Passero
Il 13 luglio, dopo l’assassinio di Jean-Paul Marat (1793) e la firma del trattato di Berlino (1878), si prepara a passare nuovamente alla storia. Ventisei anni dopo Margaret Thatcher, Theresa May è la seconda donna a occupare il numero 10 di Downing Street succedendo al dimissionario David Cameron dopo il tradizionale baciamano alla Regina.
La May è divenuta leader dei conservatori dopo il ritiro di tutti gli avversari e questo riduce al minimo il rischio di “incoerenza politica”: la politica britannica nata a Eastbourne sessant’anni fa non ha dovuto scendere a compromessi, fare promesse irrealizzabili o stringere dubbie alleanze di convenienza. Nella sua esperienza da parlamentare, presidente di partito, ministro delle pari opportunità e segretario di stato per gli affari interni la May ha mostrato di essere una donna e una politica decisa, inflessibile, determinata, e in molti oggi ritengono che sia la persona giusta per guidare il paese attraverso il turbolento contesto politico e sociale scaturente dalla Brexit>. Proprio sul fronte dell’uscita dall’Unione Europea, decisa dai britannici (o perlomeno dal 52% dei votanti) con il referendum dello scorso 23 giugno, non ci sarà un cambiamento di prospettiva: nessun dietrofront, in quanto il moderato sostengo della May al Remain era motivato più dalla lealtà a Cameron che da un vero spirito europeista di unione tra i popoli. Verranno dunque portati avanti i negoziati per l’uscita della Gran Bretagna dall’UE.
Quasi tutti pensavano che a sostituire Cameron sarebbe stato uno dei conservatori euroscettici, in particolare Boris Johnson, la cui presenza nella campagna referendaria pro-brexit ha probabilmente contributo alla vittoria. Tuttavia, dinanzi alla reale prospettiva di guidare il paese verso l’ignoto e verso la solitudine in un mondo sempre più integrato – un arcipelago le cui insulae sono sì slegate dal punto di vista geoculturale ma certamente più unite che mai dal punto di vista geoeconomico grazie ai possenti flussi della globalizzazione – Johnson ha deciso di fare un passo indietro. Neppure il tempo di abituarsi alla sua assenza, in ogni caso, che l’Europa ha appreso la notizia del suo inserimento nel governo inglese: l’ex sindaco di Londra sarà il ministro degli esteri del governo May. Una poltrona delicata quella della diplomazia britannica ma, dopo il suo ritiro dalla campagna per la leadership Tory, era nell’aria che egli sarebbe stato ricompensato con un ruolo di un certo peso. Sarà invece David Davis, veterano del Partito Conservatore e sostenitore del Leave al referendum, a guidare il neonato ministero per la Brexit, cui spetterà gestire il divorzio da Bruxelles.
La May incontrerà certamente molti ostacoli da superare e innumerevoli problemi da risolvere ma una cosa è certa: se Hillary Clinton vincerà le presidenziali negli Stati Uniti e con la Merkel in Germania, si creerà in tre giganti occidentali un trittico di donne al potere pronte a farsi carico del peso delle sfide imperanti nella world politics.