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La situazione del welfare in Italia. Il Belpaese sotto la lente della Fondazione Bertelsmann

14022103_1791803714394371_7296856998037963267_ndi Gabriele Borghese

I dati forniti dal Rapporto della Bertelsmann Stiftung “Sustainable Governance Indicator 2016” tentano di far luce su vari aspetti del sistema economico italiano. Una sezione specifica del Rapporto tratta delle politiche sociali, in particolare dell’educazione, dell’inclusione sociale e della famiglia.
L’Italia risulta essere al 32° posto nella graduatoria dei 41 Paesi Ocse per ciò che riguarda le prestazioni di welfare. Scarsa l’attenzione prestata ai bisogni delle famiglie, dei giovani e poca attenzione all’inclusione delle donne nel lavoro. L’indice di povertà del 12,7% resta alto se confrontato con altri Paesi europei.
Una parte della popolazione si è recentemente impoverita e non riceve aiuti né dalla famiglia né dallo stato. Nel Rapporto si legge: “La famiglia (molto spesso vasta) resta ancora oggi il maggior elemento di welfare per i componenti più poveri – bambini, giovani coppie con lavori precari. Attraverso la famiglia ha luogo una grossa redistribuzione economica, e servizi fondamentali vengono così garantiti, le spese per la cura dei bambini in età prescolare sono sostenute dai nonni. In relazione a questo, il supporto statale nei confronti dei familiari è stato generalmente debole”.
Recentemente l’Italia si è trovata anche ad affrontare una nuova ondata di migrazioni. Per favorire l’integrazione la scuola risulta il mezzo più efficace, come sottolineato nel documento della Bertelsmann: “Il sistema scolastico si è dimostrato un fattore positivo nel fattore di integrazione, ma le scuole non hanno ricevuto fondi a sufficienza per consolidare i migliori risultati in questo campo”.
I migranti forniscono una parte consistente della manodopera indispensabile per il mercato del lavoro italiano. Ciò ha alimentato la crescita di movimenti xenofobi, che hanno convertito le tensioni delle fasce della popolazione più deboli dovute alla mancanza di adeguati strumenti in loro supporto, in odio verso lo straniero. Su questo si legge nel Rapporto: “Gli imprenditori che assumono in modo legale o illegale rendono spesso consapevoli i politici che alcuni settori produttivi possono continuare ad operare solo grazie all’alto numero di forza-lavoro che i migranti rendono disponibile. Agricoltura, edilizia, il settore delle cure alle persone anziane e bambini e quello delle pulizie, dipendono spesso dai migranti assunti in modo legale o illegale”.
La sociologa Chiara Saraceno, docente universitaria ed esperta di welfare ha dichiarato in un’intervista a Il Fatto Quotidiano: “Il problema di fondo? Si pensa che i servizi siano un costo. E si finanziano solo se c’è denaro che avanza, come fossero un lusso. Invece, come ho cercato di spiegare a tanti ministri, si tratta di un investimento in capitale umano, in coesione sociale, in solidarietà. Un investimento che, se si vuol far ripartire la crescita, dev’essere sullo stesso piano di quelli nella banda larga o nelle ferrovie”.