di Bruno Formicola
“Dire che non ti importa del diritto alla privacy
perché non hai niente da nascondere non è differente dal sostenere che non hai bisogno della libertà di parola perché non hai nulla da dire; è un principio profondamente antisociale
perché i diritti non sono solo individuali, sono collettivi.
Quello che può non aver valore per te oggi potrebbe averlo per un’intera popolazione domani.
E se non combatterete per questi diritti, allora chi lo farà?
(Edward Snowden)
Un hacker in fuga da agenti governativi trova riparo in un sobborgo malfamato di Hong Kong. Non è l’incipit della sinossi di un romanzo cyberpunk firmato WIlliam Gibson, ma la storia fino ad ora sconosciuta di Edward Snowden, rivelata in esclusiva dal quotidiano tedesco Handelsblatt.
Nell’estate 2013 Edward Snowden lasciò gli Stati Uniti d’America ben consapevole che forse non vi avrebbe mai più messo piede. Si diresse ad Hong Kong con un “carico” molto prezioso: le chiavi USB contenenti le prove che la National Security Agency (NSA) stava spiando milioni di cittadini statunitensi. Questi erano ignari che l’agenzia li stesse monitorando attraverso i loro telefoni, cellulari e computer, attraverso i loro acquisti online, le loro chiamate e le loro ricerche su Internet; qualcuno già sospettava l’esistenza di un programma di sorveglianza di massa, quello che poi si rivelerà essere PRISM, ma lo stesso capo della NSA aveva assicurato durante audizioni al Congresso che nulla di tutto ciò stava avendo luogo. Eppure grazie al programmatore oggi nascosto a Mosca, sappiamo che Facebook, Apple, Google, Yahoo e altri giganti della rete consentivano al governo di accedere ai dati quotidianamente raccolti.
Snowden soggiornava all’Hotel Mira nel quartiere Kowloon di Hong Kong quando rilasciò la sua famosa intervista, il 6 giugno di quell’anno. È nella lobby di quell’albergo che incontrò i giornalisti Glenn Greenwald, Ewan MacAskille e Laura Poitras – autrice dell’intervista e della pellicola Citizenfour, vincitrice dell’Oscar come miglior documentario – che aveva precedentemente contattato in forma anonima e con messaggi criptati, per non essere rintracciato. Per farsi riconoscere comunicò ai giornalisti che avrebbero dovuto cercare un uomo intento a risolvere un cubo di Rubik. Quando furono pubblicati i primi articoli sul Guardian e fu trasmessa la sua intervista, era chiaro che Snowden non avrebbe potuto nascondersi lì per sempre: il suo volto compariva sulle reti televisive di tutto il mondo e sui principali quotidiani; giornalisti e agenti erano già sulle sue tracce.
“Il mio nome è Edward Snowden. Ho 29 anni. Lavoro per Booz Allen Hamilton come analista delle infrastrutture per la NSA alle Hawaii”
Non sapevamo dove si fosse nascosto prima di volare in Russia e chiedere asilo politico, fino ad ora.
Greenwald fu contattato da un suo amico che sottolineò l’urgenza di nascondere Snowden affinché non venisse scoperto, arrestato ed estradato negli Stati Uniti; gli consigliò di rivolgersi a due dei migliori avvocati dei diritti umani di Hong Kong: Jonathan Mann e Robert Tibbo.
Quest’ultimo fissò un appuntamento con Greenwald e successivamente presentò la questione all’ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, mentre Mann si recò all’Hotel Mira per assistere Snowden da vicino.
Tibbo, avvocato canadese ad Hong Kong da otto anni e precedentemente ingegnere chimico per la Monsanto in Australia, ebbe un’ottima idea: nascondere Snowden tra alcuni suoi ex clienti rifugiati.
L’hacker e l’avvocato si presentarono davanti alla porta di Nadeeka. La donna originaria dello Sri Lanka vive al quarto piano di un grattacielo insieme alla sua famiglia in un appartamento di sole due stanze. Il forno è posizionato di fronte al gabinetto, mentre la doccia è nella tromba delle scale.
“Siamo saliti attraverso le scale passando vicino mucchi di immondizia e scatole di fusibili con i fili al loro esterno. Guardando fuori dalle finestre mentre salivamo, abbiamo visto le strutture illegali costruite in cima agli edifici circostanti”, hanno riferito i giornalisti di Handelsblatt, che si sono recati ad Hong Kong per intervistare i rifugiati che hanno offerto un nascondiglio a Snowden.
Come molti rifugiati ad Hong Kong, Nadeeka ha una storia travagliata segnata da diversi eventi traumatici: dopo aver raggiunto la maggiore età incominciò a lavorare come sarta in una fabbrica che produceva tessuti per Nike e Marks & Spencer. Lavorava 6 giorni a settimana per dieci ore al giorno, ma gli straordinari erano la regola. Doveva chiedere il permesso per andare in bagno e quando c’erano ordini speciali le 600 impiegate dovevano lavorare tutta la notte. Ma la ragione per cui Nadeeka ha lasciato il suo paese era un’altra, era la relazione abusiva portata avanti con un uomo, Nuwan, che la picchiava e la stuprava. Quando lei annunciò che aveva intenzione di denunciarlo, lui disse che avrebbe pubblicato un video filmato di nascosto che mostrava i due durante un rapporto sessuale. Nello stesso momento, scoprì che Nuwan aveva anche una moglie incinta. Per la disperazione, Nadeeka tentò il suicidio ingerendo dell’insetticida, ma fu salvata grazie all’intervento dei medici. Successivamente l’uomo continuò a minacciarla e fu costretta a lasciare lo Sri Lanka perché Nuwan era parte di una famiglia molto vicina al governo, che non avrebbe mai permesso che fosse consegnato alla giustizia.
Una volta giunta ad Hong Kong, Nadeeka conobbe Supun, suo attuale marito.
Anche lui ha una storia di violenza alle spalle: a 17 anni si innamorò di una ragazza la cui famiglia supportava l’opposizione, mentre la sua simpatizzava per il partito al governo. I fratelli di Inoko, questo il nome della ragazza, lo picchiarono più volte perché non volevano che frequentasse la sorella. Dopo aver scoperto che si erano segretamente sposati, i fratelli costrinsero Inoko a divorziare. Denunciare gli abusi alla polizia era ormai inutile: il partito all’opposizione era ormai al potere e Supun decise di raggiungere Hong Kong, la destinazione più vicina che non richiedesse un visto d’entrata. Oggi Supun non può lavorare perché richiedente asilo, ma non può neanche lasciare la città perché il suo status legale è incerto.
Gli appartamenti in cui vivono i rifugiati di Hong Kong sono gestiti dalla International Social Services, una ONG con sede in Svizzera. Il governo di Hong Kong ha subappaltato a questa compagnia la gestione delle abitazioni per i rifugiati, e per questo riceve milioni di dollari; eppure alcuni impiegati della ISS hanno affidato diversi rifugiati a proprietari locali che li hanno stipati in porcili o capannoni per piccioni. È noto che vi siano legami tra i membri del partito al governo, questi proprietari e i figure importanti dell’ISS, ma la ONG ha negato le accuse. Le ombre sul sistema di accoglienza dei rifugiati di questa metropoli del sud-est asiatico non finiscono qui: i rifugiati ricevono dal governo dei buoni per la spesa validi solo nella catena di supermercati ParknShop, dove i prezzi sono mediamente più alti rispetto agli altri negozi. ParknSHop è posseduto da Li-Ka Shing, uno degli uomini più ricchi del continente.
Entrambi i coniugi erano d’accordo sull’ospitare Snowden; dopotutto era grazie a Tibbo che non erano stati deportati, e volevano ricambiare il favore. Nadeeka ricorda che il loro ospite era poco loquace ed era sempre davanti al suo portatile con le cuffie nelle orecchie, ma saltuariamente si abbandonava a qualche momento di gioco con sua figlia. L’avvocato disse a entrambi di non parlare a nessuno della cosa e di non cercare parole come “Snowden” o “NSA” su Google. Dopo un po’ di tempo, per ragioni di sicurezza, Tibbo preferì trasferire Snowden in un altro appartamento.
Ad accogliere il fuggitivo fu Vanessa. 42 anni, emigrata dalle Filippine quando ne aveva 24. Oggi fa parte di quelle 300mila persone in gran parte filippine o indonesiane che lavorano ad Hong Kong come cameriere domestiche. Anche Vanessa come Sadeeka è stata vittima di violenze durante la sua gioventù e da bambina visse nel bel mezzo dei violenti scontri tra ribelli comunisti e forze governative. Un giorno fu stuprata e rapita da uno dei ribelli che successivamente le diede anche un figlio; cercò di scappare più volte, ma fu trovata e picchiata. Grazie all’aiuto dei genitori trovò lavoro ad Hong Kong e gli affidò il bambino, ma dopo essere partita fu chiamata dall’uomo e informata che aveva rapito suo figlio e che l’avrebbe ucciso se fosse tornata nelle Filippine. Oggi Vanessa non sa ancora nulla del suo destino.
La legge di Hong Kong prevede che le cameriere vivano con i loro datori di lavoro; spesso dormono nelle stanze insieme a neonati, dove difficilmente riescono a dormire e trovare le energie per un’altra giornata di lavoro. La loro paga è inferiore al salario minimo e se vengono licenziate hanno solo due settimane di tempo per trovare un nuovo lavoro, altrimenti vengono deportate. È così che Vanessa incontrò Mr.Tibbo: dopo aver perduto il lavoro fu arrestata e per due mesi dormì in una cella con altre 12 donne su un letto di metallo privo di materasso. Vanessa ha poi co-fondato la Refugee Union, di cui sono membri 2500 richiedenti asilo.
Il giorno seguente il suo primo incontro con Snowden Vanessa uscì di casa e vide la faccia del programmatore ovunque. “Stavo tremando dalla paura, l’uomo più ricercato del pianeta stava dormendo a casa mia. Se qualcuno lo avesse scoperto, io e mia figlia saremmo finite in un mare di guai”. Ma Vanessa non si tirò indietro: “Nascondere Edward Snowden era un compito importante e Robert Tibbo mi aveva chiesto di farlo. Non potevo abbandonarlo, ed ero orgogliosa che avesse chiesto a me di nasconderlo.”
Durante le due settimane nei sobborghi di Hong Kong Snowden ha anche avuto una guardia del corpo. Il suo nome è Ajith, ed anche lui è dello Sri Lanka. In giovane età si arruolò nell’esercito, ma presto si accorse di aver messo piede nell’inferno: le giovani reclute venivano picchiate brutalmente e molestate sessualmente, così solo dopo due settimane Ajith scappò. Nel 1993 si arruolò una seconda volta sotto falso nome ma fuggì di nuovo dopo essere stato ferito (e non curato) durante una battaglia contro le Tigri Tamil, ribelli nel nord dello Sri Lanka. Fu ricercato per sei anni durante i quali visse di espedienti ma nel 2002 fu trovato e messo in prigione, dove fu picchiato e torturato. Rilasciato, i genitori decisero che avrebbe dovuto lasciare il paese, così spesero tutto il loro denaro per comprare un passaporto falso e mandare il figlio in Canada. La persona che avrebbe dovuto accompagnarlo nel continente americano lo abbandonò ad Hong Kong, dove Ajith vive tutt’ora come richiedente asilo tormentato ancora dai fantasmi del passato, che tiene a bada con l’aiuto di uno psichiatra.
Alla domanda su quali fossero i momenti più belli passati con i rifugiati e cosa ne pensasse di loro Snowden ha risposto: “Qualche volta i bambini mi osservavano mentre usavo un’antenna speciale per hackerare connessioni wireless in edifici lontani in modo tale da creare canali sicuri attraverso cui potevo comunicare con i giornalisti senza essere scoperto. I bambini non avevano alcuna idea di quello che stava succedendo, ma erano comunque curiosi. Quei piccoli sorrisi mi hanno dato qualcosa per cui combattere nel bel mezzo di quei giorni senza speranza. […] Queste persone si svegliano ogni mattina affrontando tragedie e persecuzioni, e ogni notte vanno a dormire con intere famiglie in un solo letto. E anche se non hanno niente, hanno rischiato tutto per fare quello che era giusto. […] Si parla molto del coraggio in politica, in guerra; rimanere in piedi di fronte a grandi difficoltà. Queste cose sono meravigliose, favolose, ma ti dico che io le scambierei tutte per un mondo fatto da questi eroi di tutti i giorni. Quel che pensavo di sapere riguardo al coraggio non era niente rispetto a quello che ho visto ad Hong Kong.”
Queste sono le storie di chi ha protetto Edward Snowden.