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Referendum Costituzionale: il voto del 4 dicembre e la decisionalità sociale

di Mattia Papa

La data è segnata. Lunedì 26 settembre, il Consiglio dei Ministri ha deciso dove tracciare il punto di non ritorno. Il 4 dicembre si va alle urne per il voto del cambiamento della Costituzione. Il giorno della verità, sotto diversi profili. Per il Paese “reale”, quella del cosiddetto “popolo di Bla bla car”, di quello che il Sì e il No al referendum lo stanno vivendo come un Sì o un No al Governo, e nello specifico in un pro-Renzi e un contro-Renzi (quest’ultimo legato all’adulazione dei pentastellati). Insomma, quel che resta di un senso critico appiattito e alimentato da un dibattito pubblico e mediatico che in tutti i modi ha voluto che la discussione si polarizzasse sul sostegno o meno al Governo.

I comitati per il No, nel mentre, provano costruire informazione sulle ragioni del “No” al Referendum con dibattiti e iniziative in tutte le città, provando altrettanto a mettere in allarme sul significato e cambiamento strutturale che subirebbe il Paese, dalla perdita di potere delle istituzioni regionali e comunali sulle decisioni territoriali, in un accentramento tutto nazionale delle problematiche slegate da chi quelle stesse problematiche le vive: come potrebbe, ad esempio, il Governo centrale essere espressione di un piano pragamatico, fattivo e al contempo risolutivo dei disastri ambientali in Campania senza far parte dei processi quotidiani della regione? Non di certo servono commissari, bensì impegni politici e interventi strutturali, slegati dai rapporti di potere e interessi privati. Il rischio è di mal distribuire i fondi, confondere le problematiche. Purché non si creda che ci sia una qualche forma di malizia in una ristrutturazione del genere della nostra Costituzione. E questo è solo uno degli esempi.

L’altro piano è strettamente legata all’immobilità del Governo dei prossimi mesi (il Premier sarà in tour per promuovere il Sì al Referendum), sulle promesse che Renzi ha fatto e continuerà a fare (l’ultima sulla costruzione del Ponte sullo Stretto, paradossale a solo un mese del terremoto di Amatrice che ha distrutto diverse zone del Centro Italia), e sulla legittimità e agibilità del Governo del Jobs Act, dello Sblocca Italia e della Buona Scuola, ossia tra le riforme più contestate degli ultimi decenni, che hanno totalmente mutato il volto “europeo” (quell’Europa che respinge i migranti che scappano dalle guerre che lo stesso Occidente ha permesso e alimentato) del Paese, senza risolvere problemi come la disoccupazione giovanile – anche qui per fare un esempio.

Insomma, il Governo sta lavorando sul solito fronte: quello dell’apparenza. E sugli interventi che servono, da quelli per il terremoto, a quelli sulla formazione? Su quest’ultima il Governo ha in ballo un pacchetto di provvedimenti da 500 milioni di euro riguardanti le politiche giovanili e il diritto allo studio universitario. In questo pacchetto, che probabilmente sarà chiamato “Student Act”, oltre alla conferma dei 500 euro per i diciottenni, ci sarebbero delle nuove borse di studio per studenti selezionati in base al voto di maturità e rimane in cantiere l’istituzione di una No Tax Area.

Parlare di bonus da 500 euro, “superborse” e inventarsi criteri di merito aggiuntivi non solo è inutile per rispondere al problema del diritto allo studio, ma offensivo nei confronti di tutti coloro che in questi anni sono stati abbandonati dallo Stato nell’affrontare il proprio percorso di formazione. Come è prassi di questo governo, invece di pensare a interventi strutturali e mirati per aiutare i soggetti più in difficoltà si propongono misure ideologiche e inefficienti, spot propagandistici e nomi altisonanti.
Se il governo vuole intervenire sul diritto allo studio e bloccare l’esodo dalle università, parta dal garantire la borsa di studio a tutti gli studenti che ne hanno diritto, cancellando la vergogna tutta italiana degli idonei non beneficiari, potenzi i servizi del diritto allo studio a partire dalle residenze universitarie e ne garantisca l’accesso a tutti gli studenti, esenti dalle tasse tutti gli studenti meno abbienti senza alcuna esclusione.

Insomma, che sia un sì o che sia un no, da ricostruire c’è ben altro: c’è da ricostruire un’idea attraverso cui ricostruire un paese, che sappia ascoltare tutti, che garantisca la partecipazione e la capacità di tutti di partecipare alle decisioni, alla decisionalità nella vita politica del paese stesso. È attraverso una società consapevole che è possibile immaginarsi un futuro migliore. Non svilendo la Costituzione ma provando ad applicarla. Non inneggiando alla maggiore flessibilità e la velocità delle decisioni, ma costruendo un’alternativa reale in cui tutti i cittadini possano essere parte attiva e consapevole della decisionalità sociale, e ne abbiano gli strumenti.