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Migranti e frontiere: il referendum in Ungheria non raggiunge il quorum

Articolo #61 - Migranti e frontiere, il referendum in   Ungheria non raggiunge il quorumdi Marco Passero

Tre anni dopo la strage di Lampedusa, in cui si contarono 368 vittime, il tema dei migranti continua a essere quanto mai all’ordine del giorno.
Un paese dell’Europa dell’Est, l’Ungheria, ha chiamato il popolo alle urne per un referendum sulle quote di rifugiati proposte dall’Unione Europea. Secondo il piano europeo l’Ungheria avrebbe dovuto ospitare 1294 migranti ricollocati da Italia e Grecia (in base a quanto previsto dall’agenda europea per l’immigrazione), ma non si è recato alle urne neppure il 50% degli 8,3 milioni di elettori ungheresi chiamati a votare. Il referendum non ha dunque raggiunto il quorum. Il presidente Viktor Orbán, con il suo governo conservatore che aveva indetto la consultazione popolare invitando gli elettori a votare no, sostiene tuttavia di avere vinto: con un commento circa l’esito della consultazione popolare ha affermato che andrà avanti lo stesso avendo promesso le dimissioni solo in caso di vittoria del sì, dichiarando ora di essere pronto a modificare la costituzione pur di rendere vincolante l’esito referendario. Un portavoce del governo ha dichiarato che il fatto di non aver ottenuto il sostegno sufficiente non ha alcuna valenza politica.
In realtà, secondo buona parte della stampa e dei commentatori di tutto il mondo, il risultato del referendum è stato un fallimento per Orbán.
Il “no” ampio e categorico che Orbán si attendeva, o meglio che sperava di ottenere, doveva rientrare in una “controrivoluzione culturale” del primo ministro ungherese, contro Bruxelles e contro ideali progressisti come l’apertura ai profughi, da sostituire con concetti identitari come la famiglia e la comunità. “L’Unione non può obbligare ad accogliere profughi paese che non lo vogliono”, gridava Orbán durante una campagna pre-referendum che si è arricchita di mera e grave xenofobia – migranti, criminalità e terrorismo beceramente associati – dinanzi alla prospettiva poi realizzatasi di una scarsa affluenza alle urne.
In ogni caso, secondo il The Economist, la crisi dei migranti può essere vista come “una manna dal cielo per Orbán”, avendogli permesso di sviare l’attenzione dagli scandali interni e di evitare un aperto confronto con il rivale in ascesa Jobbik. La “posa da duro” di Orbán, continua il settimanale britannico, ha trovato ammiratori in tutta Europa, dove i liberali allarmati avevano parlato di “orbanizzazione”: oggi i leader europei parlano solo di proteggere le frontiere esterne, esattamente il fulcro del dictum di Orbán.