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Via il caporalato. Ma per davvero?

caporalato1-755x515di Mattia Papa

Qualche giorno fa la Camera dei Deputati ha dato il via libera al Ddl contro il caporalato. Il Ddl fa diversi passi in avanti in termini di tutela dei lavoratori e di repressione del fenomeno. È uno di quei casi, pare, in cui il motto “la lotta paga” riacquista valore, negli anni dell’apparente scomparsa del rapporto tra politico e sociale, della parcellizzazione della società stessa, della scomparsa dei corpi intermedi, venduti o meno alla narrazione della post-ideologia, ossia della sconfitta e del superamento di ogni sorta d’ideologia esistita in passato.
Il Disegno di legge, per la prima volta chiama in causa non solo i caporali ma anche le aziende, arrivando fino alla confisca dei beni: risultato raggiunto attraverso le costanti lotte sociali, sindacali e di quelle auto-organizzate dei braccianti – spesso migranti – che in questi anni hanno rotto una ‘pace’ sociale fondata sullo sfruttamento, rimettendo il tema al centro di un dibattito pubblico che troppo spesso confina all’invisibilità le devastanti condizioni di lavoro del settore agricolo.
Eppure un minimo di sconfitta esiste. Non sono infatti mancate le astensioni (nonostante il nessun voto contrario), giunte da Forza Italia e Lega Nord, quest’ultima sempre pronta ad individuare nei migranti la causa della caduta dei salari delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Appare infatti ancora lontana una svolta culturale che rompa il velo o del perbenismo con cui spesso una parte della popolazione si approccia alla questione, o del populismo che ascolta solo i bilanci elettorali e alimenta odio e xenofobia.
Necessario infatti risulta domandarsi quali siano le ragioni economiche e politiche per cui molti lavoratori non sono spesso in grado di denunciare i casi di sfruttamento, sia perché non ne hanno consapevolezza, sia perché non ne hanno gli strumenti, agendo su queste. Si pensi alla Bossi-Fini, che lega permesso di soggiorno e posto di lavoro, che rappresenta per i lavoratori migranti un ovvio impedimento a sporgere denuncia. Oppure guardiamo alle politiche sul lavoro che questo Governo ha realizzato, con l’estensione a dismisura dei voucher che proprio in agricoltura sono un formidabile strumento di sfruttamento e di legalizzazione del lavoro nero. Per ora il Governo tace, salvo qualche silenziosa speranza.
Il Governo, infatti, confida nelle agenzie interinali, ossia un caporalato legalizzato dal pacchetto Treu e dalla Legge Biagi, che hanno reso lettera morta la legge del 1960 che vietava la vendita di manodopera (è proprio questa legge che il Governo intende rafforzare nell’ambito del ddl caporalato). Un’assenza pesante poi quella sulla filiera produttiva, che continua a vedere all’apice i colossi della grande distribuzione organizzata che praticano la compressione ultraliberista dei costi, imponendo lungo tutta la filiera una competitività pagata da chi sta in basso. Eppure, come riportano i rapporti Istat di quest’anno, il settore agricolo italiano è in crescita produttiva (tranne al Nord-Ovest).
Ancora una volta il tema centrale è come si produce e come si distribuisce la ricchezza che esiste: fino a quando il Governo starà dalla parte delle imprese e contro il lavoro vivo precarizzato e reso sempre più subalterno, fino a quando non saranno messe in campo serie politiche di welfare e di tutela del lavoro rivolte a tutte e tutti, non potrà uscirne niente di buono per chi deve necessariamente lavorare in condizioni spesso estreme per sopravvivere.