di Mattia Papa
La vittoria di Trump in America traccia una linea, che più di cambiamento, attesta e manifesta definitivamente il cambio di paradigma della fase politica, fino a tratteggiare i contorni sociali e culturali del nostro periodo storico.
I risvolti che la crisi economica ha avuto sulle vite di ogni singolo individuo sul globo, ha segnato la definitiva capitolazione delle ideologie. La distinzione tra destra e sinistra è attualmente illeggibile alla società, che necessita di punti fermi nuovi, per non perdersi nella costante precarizzazione esistenziale nella e della società stessa.
Quel che ci rimette in termini di prospettive il panorama internazionale, preannuncia un sempre maggior distacco dalla politica e da qualunque forma di progressiva risoluzione delle crisi sociali mondiali e dalle tragedie ambientali e umanitarie che continuano a susseguirsi senza apparenti né reali freni, nonché un distacco della politica stessa dalla società, se non nell’interpretazione e nell’assecondare le più che volubili e schizofreniche paure (si veda Z. Bauman, C. Bordoni, Stato di crisi, Einaudi, Torino, 2015) sfocianti in decisioni elettorali drammatiche e sconsiderate, forse nella speranza che vi sia sempre un barlume di coscienza che imponga, prima o poi, la risoluzione dei drammi del presente, senza però esser più pronti né credere che l’impegno di ognuno possa davvero fare la differenza.
Il lassismo e il disincanto si incarnano nei leader internazionali, che figurano e preannunciano periodi di estrema turbolenza dove la guerra tra i paesi Occidentali – per l’accaparramento e l’assoggettamento dei paesi europei e Orientali – non sembra più una prospettiva lontana e priva di realtà: la crescita della disperazione e la disillusione sociale, fomenta e attiva meccanismi di difesa e di reazione che fanno tremare il filo dell’equilibrio mondiale, irrisolto fin dalla guerra fredda. Le tensioni tra Russia e USA, l’affermazione sempre più forte della Cina e il disorientamento di un’Europa divisa e incapace di sostenere una guida che vada al di là degli interessi economici e fomenti le meccaniche della guerra tra poveri, della competizione e della parcellizzazione sociale fino alla scissione psicologica dell’individuo in sé, non possono che presagire un orizzonte di incredibili difficoltà.
D’altronde, l’emergere delle destre – ancora disancorate e slegate tra chi maggiormente punta sulla legittima ideologica della xenofobia, omofobia e razzismo, e chi invece è interessato unicamente il conservatorismo populistico del controllo economico e la tutela dei poteri forti e dell’establishment attraverso una destrutturazione del sociale, dei corpi intermedi e di qualunque forma di coscientizzazione della popolazione – in Europa non è tanto una prospettiva, bensì la definitiva deriva a cui stiamo andando in contro come conseguenza dello smantellamento di qualunque welfare nel Vecchio continente.
In questo panorama, di contro al fronte del Sì, il fronte vittorioso del No al referendum del 4 dicembre è una risposta che, all’infuori dell’euforia del successo, va letto in modo clinico e attento. Il fronte del No è stata una risposta eterogenea che ha contenuto i dissidi interni del Partito democratico, quanto la guerra nella destra italiana che ancora ha difficoltà nel ritrovare un leader (poiché sempre stata legittimata non tanto da un interesse ideologico come invece provano a fare Salvini o la Meloni, quanto il mantenimento di potentati economici diffusi), quanto il Movimento 5 Stelle e tutte le realtà sociali e associative che, riunitesi in comitati, hanno sventato l’attacco agli ultimi spiragli di decisionalità democratica che i cittadini italiani hanno nel Paese. Un fronte così eterogeneo, con fini e obiettivi tra le parti altrettanto eterogenei uniti solo apparentemente dalla tutela della Costituzione, crea un vuoto politico che si agita nel caos complessivo, a cui bisogna dare una risposta, anche così come alla definitiva caduta del capo carismatico, del leader indiscusso, dell’avvelenata e deviata deriva assunta dalla forma-partito. E d’altronde il ‘nuovo’ governo può avere due risposte: l’essere l’ennesimo allontanamento della gente dalla politica e dalla consapevolezza di incidere nella politica, assopendo così qualunque slancio di attivazione che possa cambiare l’esistente, sia l’ultimo degli attacchi alla decisionalità popolare prima di una reale presa di coscienza del popolo.
Che fare allora? “La risposta – diceva qualcuno – è dentro di te”. Dentro di noi, quindi. Speriamo che, a differenza delle altre volte, non sia sbagliata.