di Marco Chiappetta
TRAMA: A seguito del crollo del loro palazzo, Emad (Shahab Hosseini) e Rana (Taraneh Alidoosti), coniugi e attori impegnati in palcoscenico con “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller, si trasferiscono in un nuovo appartamento, a loro insaputa abitato prima da una prostituta. Quando una sera uno sconosciuto entra nell’appartamento e aggredisce Rana, la coppia inizia a collassare, sia sul palcoscenico che nella vita. Mentre Rana non vuole denunciare il fatto alla polizia pur non riuscendo a riprendersi dal trauma, Emad vuole compiere una vendetta privata e si dà da fare per cercare l’autore della violenza.
GIUDIZIO: Complesso, ambiguo, pieno di dettagli e sfumature, il film di Asghar Farhadi è, sulla linea della sua filmografia precedente, un altro thriller dell’anima, un dramma morale, esistenzialista ed essenzialmente teatrale, tutto in interni, dove la parola sostituisce l’azione, la scavalca e la sublima. Con una regia impercettibile, nervosa, per nulla vistosa, il grande cineasta iraniano ancora una volta scandaglia l’animo umano facendo una lezione di cinema claustrofobico, altamente etico, oratorio, intelligente, intrecciando una struttura drammatica impeccabile disseminata di indizi e piste che portano a un terzo atto come sempre entusiasmante. Rispetto ai suoi tre precedenti capolavori (nell’ordine “About Elly”, “Una separazione”, “Il passato”), il film ha innegabilmente una struttura narrativa meno compatta e un ritmo più lento, ma resta ancora inarrivabile e unica la sua capacità di manipolare lo spettatore con l’arte del non detto, con l’ambiguità che fa trasparire dalla scrittura e dalla direzione degli attori, sempre sospesi, misteriosi, indecifrabili. Come sempre il “fatto”, il MacGuffin che muove la storia (qui la violenza subita dalla donna), pur se grave risulta essere soltanto la scintilla di un incendio ancor più grande che si scatena tra le mura e fuori, nell’anima e oltre, nella vita e sul palcoscenico. Ogni scena, ogni parola, ogni dettaglio è fondamentale e funzionale all’inarrestabile evoluzione tragica della storia. Il cinema di Farhadi è l’esaltazione dell’intelligenza umana al suo massimo, ma c’è anche qualcosa in più: una visione morale, non moralista, del mondo e dell’uomo, ricca di metafore, piena di emozione ed empatia, priva di giudizi e facili consolazioni, un cinema sconvolgente che fa domande e si rifiuta di dare risposte.
Doppio premio all’ultimo festival di Cannes: miglior attore (Shahab Hosseini) e miglior sceneggiatura.
VOTO: 3,5/5