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“Jackie”: i dolori della giovane vedova Kennedy

locandinajackiedi Marco Chiappetta

TRAMA: 1963 – Una settimana dopo l’assassinio del presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy (Caspar Phillipson), la vedova Jackie (Natalie Portman) racconta a un giornalista (Billy Crudup) quei giorni tragici dopo l’attentato, tra il bisogno di dare prestigio ai funerali del defunto e di gestirne il lascito politico con il cognato Bobby (Peter Sarsgaard), l’impegno di mantenerne viva la memoria e di consolare i figli orfani.
GIUDIZIO: Primo film internazionale e in lingua inglese del cileno Pablo Larraìn, è così lontano dal suo universo geografico e tematico da sembrare quasi impersonale, certo non per la forma stilistica sempre straordinaria – con inquadrature geometriche, primi piani intensi e precisi, carrellate sontuose, una fotografia (qui del francese Stéphane Fontaine) spesso in controluce e granulosa – ma per il contenuto: il  racconto di un periodo tragico, di un presidente a suo modo iconico, di un mondo, quello della Casa Bianca, visto da dentro, attraverso gli occhi di colei che in quella storia, in quella settimana, fu solo personaggio secondario, testimone suo malgrado sotto i riflettori. La sceneggiatura di Noah Oppenheim (premiata a Venezia) e il montaggio di Sebastiàn Sepùlveda hanno certo il merito di creare un ritmo e un ordine cronologico sfasato quantomeno interessante per la narrazione, la regia è raffinata con più di un guizzo, i costumi e le scenografie sono di grande ricercatezza, per non parlare dell’interpretazione intensa di una perfetta Natalie Portman, credibile first lady glamour fuori e fragile dentro, sicuramente il polo più attrattivo dell’opera. Quel che manca al film, stilisticamente sin troppo impeccabile, è un cuore che palpiti, ma il suo stesso punto focale – la Casa Bianca vuota e in lutto – è un soggetto troppo esiguo, troppo inconsistente, per costruirci un film che sia privo di sbadigli e giustificati sospetti di inutilità.
VOTO: 3/5