di Marco Passero
La Brexit, le pressioni russe sull’Ucraina (dapprima sulla Crimea, poi sulla regione del Donbass), l’esplosione di partiti euroscettici o addirittura “eurofobici”, l’atteggiamento ambiguo di Donald Trump nei confronti dell’unità nel Vecchio Continente. Questo breve elenco, meramente esemplificativo, fa capire che in Europa i problemi non mancano, gli interrogativi sono molteplici e delle risposte in tempi brevi sarebbero quanto mai auspicabili.
Lo scorso primo marzo il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha cercato di andare proprio in questa direzione, provando a rispondere – in un libro bianco – agli interrogativi che pendono sull’Unione.
Secondo Juncker sono possibili cinque opzioni: non cambiare nulla, concentrarsi sul mercato unico, virare su obiettivi meno ambiziosi focalizzandosi su alcuni elementi prioritari, puntare alla creazione di uno Stato federale, accettare un’Europa a più velocità.
La prima opzione implicherebbe un non-intervento, non fare nulla di più né di meno rispetto alla situazione attuale, non toccare le istituzioni attuali. La seconda punterebbe ad abbassare il tiro per una zona di libero scambio, rinunciando ai grandi passi avanti comunitari. La terza comporterebbe una clamorosa rinuncia alla progressiva unificazione dell’Unione attraverso leggi, norme e regolamenti. La quarta alternativa auspicherebbe un’Unione molto più forte, la creazione degli Stati Uniti d’Europa, obiettivo verso il quale gli Stati dovrebbero marciare compatti. Infine la quinta ipotesi porterebbe ad accettare un’Europa differenziata in cui chi vuole avanzare verso un’unificazione potrebbe farlo senza che gli altri siano obbligati a seguire.
Elemento centrale di queste proposte è che, malgrado formalmente il presidente della Commissione non abbia espresso preferenze per l’una o l’altra alternativa, la neutralità non sembra essere propriamente una caratteristica del libro bianco che contiene tali opzioni. La quinta ipotesi appare, infatti, quella (neanche troppo) tacitamente auspicata: spingere i 27 Stati membri a esprimere la propria posizione per poi procedere, constate le divergenze, verso l’Europa differenziata. Se ci sono paesi che non vogliono avanzare verso l’Europa politica – attualmente Polonia e Ungheria – nessuno li costringerà, ma tutti gli altri saranno liberi di agire, ad esempio con investimenti nella politica europea di difesa comune (ben lontana, comunque, da quella vera e propria difesa comune con rinuncia agli eserciti nazionali definita dall’articolo 42 par. 2 TUE) o puntando all’armonizzazione della fiscalità e della protezione sociale.
L’Unione si muoverà in questa direzione il prossimo 25 marzo, a Roma, in occasione del sessantesimo anniversario del suo primo trattato.