di Marco Passero
L’Associazione per la promozione dell’intelligenza artificiale riunisce ogni anno ricercatori talentuosi e dalle idee brillanti provenienti a centinaia da tutto il mondo. La componente cinese in tali occasioni di confronto e presentazione ha un peso tale che l’incontro del 2017, a New Orleans, è stato spostato dalla fine di gennaio al mese di febbraio (quando si è svolto poi a San Francisco) solo perché avrebbe altrimenti coinciso con il capodanno cinese. Ancora una volta i segnali dell’ascesa cinese si sono palesati in tutta la loro forza al punto che Cina e Stati Uniti hanno ottenuto approvazioni sullo stesso numero di studi.
Il successo della Cina è dovuto in parte agli investimenti che il governo ha fatto in campo scientifico nelle università: soltanto nell’ultimo decennio si è registrato un aumento medio del 10% annuo. All’università scientifica di Hong Kong il ricercatore Qiang Yang collabora con Tencent, che finanzia alcune borse di studio per gli studenti del suo laboratorio. Questi hanno accesso a enormi quantità di dati provenienti da WeChat, e in cambio Tencent ha a disposizione le ricerche che emergono dai laboratori universitari. La ricerca tecnologica è il fiore all’occhiello del mondo accademico, ma in Cina anche molte aziende partecipano agli investimenti scommettendo su questo settore: da ricordare che Baidu e Didi, paragonabili rispettivamente a Google e Uber, sono entrambi dotati di laboratori di ricerca per l’intelligenza artificiale. Si tratta di colossi con milioni di utenti e clienti e accesso a enormi quantità di dati utili per addestrare l’intelligenza artificiale a riconoscere vari e mutevoli schemi di comportamento, puntando a tecnologie sempre migliori e via via più dettagliate per il prossimo futuro, come quelle per le auto che si guidano da sole. Non sorprende, inoltre, che molti di questi “nuovi giganti” orientali svolgano ricerche in Occidente, anche nella Silicon Valley con la quale competono.
C’è poi un fattore linguistico da non sottovalutare: i ricercatori cinesi di solito parlano inglese e possono accedere alla ricerca prodotta all’estero, mentre i ricercatori che parlano inglese raramente hanno accesso alla ricerca cinese. Se dunque, nonostante la forte crescita della ricerca in Cina, i lavori più innovativi arrivano ancora dai ricercatori statunitensi, il futuro sembra essere dalla parte dell’Oriente, considerando anche la forte competitività del mercato cinese.