di Marco Chiappetta
TRAMA: 26 maggio – 4 giugno 1940. Mentre centinaia di migliaia di soldati inglesi, francesi e belgi sono bloccati dall’avanzata nazista sulle spiagge di Dunkerque, sul canale della Manica, il governo britannico lancia la sontuosa operazione Dynamo per evacuare e rimpatriare i propri soldati. Tre vicende, la prima di una settimana, la seconda di un giorno, la terza di un’ora, si intersecano: tre giovani ufficiali – Tommy (Fionn Whitehead), Alex (Harry Styles) e Gibson (Aneurin Barnard) – cercano come possono di scampare agli attacchi nazisti, rifugiandosi dentro una nave con altri commilitoni, mentre il comandante Bolton (Kenneth Branagh) dirige la missione di evacuazione; il signor Dawson (Mark Rylance), un civile, parte a bordo della sua piccola barca insieme al figlio Peter (Tom Glynn Carney) e al suo amico di scuola George (Barry Keoghan), dal Dorset alla volta di Dunkerque, per collaborare alla missione, e lungo la traversata salvano un soldato inglese sotto shock (Cillian Murphy), unico superstite di un attacco di U-Boot; due piloti della RAF, Farrier (Tom Hardy) e Collins (Jack Lowden), sorvolando la Manica con i loro Spitfire, hanno il difficile compito di combattere gli aerei tedeschi e proteggere i soldati a terra.
GIUDIZIO: Realistico e spettacolare a un tempo, brillantemente costruito su tre livelli narrativi (una settimana, un giorno, un’ora) che si intersecano in maniera non lineare, “Dunkirk” conferma una volta di più le peculiarità di Christopher Nolan come regista di ossimorici e riuscitissimi blockbuster d’autore. Geniale nello scomporre una tragedia in tre unità diverse (la terra, l’acqua, l’aria), in tre atti intrinseci, Nolan scrive e mette in scena un sontuoso racconto, classico ma frammezzato, preciso nei dettagli e nelle atmosfere, che fa della guerra non un dramma corale, ma una serie di drammi intimisti, protagonisti la paura, la forza, il dolore, la speranza, la solitudine (quella dei piloti della RAF, tra cui un Tom Hardy che recita coperto, solo con gli occhi e con la voce), le sensazioni più viscerali, profonde e umane. Per nulla lontano dai due massimi capolavori sul tema, “Salvate il soldato Ryan” e “La sottile linea rossa”, con cui spartisce una sensibilità anti-retorica e poetica, il film di Nolan è un affresco di umanità straziata e straziante, dove i volti dei personaggi (seppur vissuti da grandi attori) si perdono nella totalità di una tragedia di massa, e dove i mostri, i nazisti, come in ogni film d’orrore che si rispetti sono quasi fuori campo, quasi mai menzionati, ma quanto mai terrificanti e presenti. Girato in IMAX e in pellicola 70 mm, con una fotografia strepitosa (Hoyte Van Hoytema, già su “Interstellar”) e una costruzione pittorica delle inquadrature già di per sé emozionante, non è solo un film, ma un’autentica esperienza visiva e morale, totalmente avvolgente e vorticosa, carica di tensione e pathos, grazie anche alle musiche palpitanti del fido Hans Zimmer, quasi una sinfonia di mitragliette, stiletti, motori aerei e allarmi anti-bomba. Di tutti i film di Nolan, capace come pochi di spaziare tra generi ed epoche, non è solo il più breve, ma anche il più realistico, il più sentito, il meno compiaciuto, forse il più bello.
VOTO: 4/5