di Mattia Papa
È di lunedì 25 settembre la notizia: 59 indagati per corruzione tra le stanze dell’Università. No, non una in particolare. È l’intero sistema universitario a vedersi messo alle strette. La Procura di Firenze ha infatti avviato proprio lunedì mattina 29 misure cautelari per altrettanti docenti universitari di diritto tributario su tutto il territorio nazionale. L’accusa è partita da un ricercatore candidatosi per l’ASN, l’abilitazione scientifica nazionale, proprio in diritto tributario, a cui è stato proposto e consigliato di ritirare la propria candidatura poiché più qualificato del concorrente che, a pari titoli con l’abilitazione, era stato “prescelto” per la chiamata come docente associato.
Certo, nulla di nuovo sotto il sole. Cambiano le riforme, si alternano i ministri, passano i rettori, ma certe dinamiche restano. C’è poco d’aggiungere e da commentare. Quello che probabilmente invece manca – e che però non può mancare – al susseguirsi delle vicende di cronaca sulla questione, è il capire perché, nell’Università di oggi, una prassi accademica, certo sporca ma ampiamente consolidata, sia stata denunciata. Ed è in questo senso che gli studenti di Link Coordinamento Universitario hanno provato ad intervenire, rilanciando non certamente per tutelare la corruzione universitaria ma per estirpare dalle radici il problema.
La prima questione da cui partire è il sottofinanziamento: “È dai tagli della Riforma Gelmini – scrivono nella loro nota – che, senza soluzione di continuità con i governi successivi, l’università è in macerie, senza risorse, senza possibilità di prospettive e continuamente sul filo della sopravvivenza. Prima della riforma il Governo avviò un’invadente campagna comunicativa di diffamazione dell’università, sulla sua inutilità sul profilo lavorativo e sulla necessità di contrastare i baronati per premiare il ‘merito’. Così si è giustificato un taglio di dieci miliardi di euro al finanziamento universitario che ha portato a circa 10.000 cattedre in meno in tutto il Paese”.
La riduzione delle finanze ha creato i disagi che già conosciamo: diminuzione delle iscrizioni a favore delle università private, la cosiddetta “fuga di cervelli” all’estero, diminuzione delle borse di dottorato, ricambio nelle accademie fermo, una ricerca stantia, oltre il danno sull’intero rapporto tra università e territorio. Insomma, le accademie si chiudono in loro stesse, non sufficientemente finanziate. In un continuo sistema punitivo che invece di alleviare il “baronato”, lo ha inasprito, incattivito: non un ripensamento del reclutamento, della ricerca, del valore e significato del sapere nel nostro paese, bensì il taglio netto delle risorse sperando (ma per davvero ci credevano?) in una redenzione fulminea di un intero sistema di potere nel Paese?
“Non stiamo dicendo certo che chi resta nelle università italiane sia parte integrante di un sistema clientelare – continuano gli studenti –, ma che la riduzione dei fondi ha ridotto le possibilità di fare ricerca e che il sistema clientelare che si voleva abbattere è ancora in piedi, e che a rimetterci è stata la didattica, la ricerca, la docenza di qualità, ridotte sul lastrico”. E d’altronde, “il fallimento dell’ANVUR è un dato di fatto anche per coloro i quali entusiasticamente ne annunciavano la nascita e questo nuovo scandalo non fa che rimarcare l’incapacità di quest’organo non solo di valutare, ma anche di svolgere una funzione che garantisca imparzialità”.
E poi la risposta dell’ultimo Governo Renzi, le Cattedre Natta, vere e proprie cattedre di governo in cui i nomi vengono scelti da un collegio nominato dal Governo, con chiamata diretta, senza nessun intermediario (bel modo eh, per scegliere i docenti?). “La stessa orrenda, antidemocratica proposta si legge anche oggi sui giornali, come se la risposta sensata al sistema di corruzione e familismo potesse essere il potere di chiamata in mano a pochi”, dicono ancora gli studenti.
La proposta degli studenti è chiara: “la democrazia”, ossia “la capacità di tornare a discutere delle scelte strategiche e di reclutamento all’interno degli organi, di costruire meccanismi di valutazione adatti, dialettici, senza algoritmi ANVUR e fondati sulla cooperazione e non la competizione tra diversi dipartimenti e diversi atenei. Ma per far ciò è necessario rifinanziare in blocco l’università pubblica, eliminare le posizioni di debolezza derivante dal precariato, dare dignità anche salariale ad ogni componente universitaria, possibilità di prospettive. Questi – concludono – sono solo alcuni dei temi che stiamo portando nelle tante assemblee che in questo inizio autunno si stanno moltiplicando negli atenei e che chiedono, con decisione, un netto cambio di rotta”.